Il 18 novembre prossimo a Tokyo si terrà la terza Conferenza internazionale (Triangular Peoples Conference) che vede protagonisti i movimenti per la terra contrari al land grabbing di Mozambico, Giappone e Brasile. Questi attivisti da anni si battono contro il ProSavana, mega progetto per introdurre in Mozambico il modello delle piantagioni brasiliane.

Una parte della società civile mozambicana impegnata contro il land grabbing non si fida delle promesse di Maputo. Non quando è in ballo il ProSavana, almeno. Ossia il programma di Cooperazione allo ‘sviluppo’ triangolare (Giappone-Brasile- Mozambico), molto osteggiato dai contadini poveri, che di fatto legalizzerebbe il furto di terra a danno dell’agricoltura familiare.

Ambientalisti, sindacalisti e coltivatori, riuniti nella Campagna internazionale Nao ao ProSavana lo hanno boicottato per anni. E in parte ci sono anche riusciti. Il programma adesso è congelato, ma non si è ancora arenato. E se ne parlerà a Tokyo, dove gli attivisti si danno appuntamento per parlare di strategie di opposizione ai furti di terra legittimiati a livello internazionale.

«I segnali che cogliamo nei villaggi del corridoio di Nacala ci fanno pensare che il governo del Mozambico non abbia ancora rinunciato del tutto a trasformare la savana in distese di soia e iatropha per l’agro-business», ci racconta suor Rita Zaninelli, missionaria comboniana della Commissione diocesana Giustizia e Pace a Nampula. E come lei la pensano diversi sindacalisti (Unione nazionale dei contadini), movimenti di donne ed attivisti.

Il fatto che migliaia di ettari di terreno in Mozambico siano coltivati a manioca, cocco, fagioli, banane, da piccole comunità rurali che non sono disposte a cedere neanche un ettaro della loro machamba, proprio non va giù al governo di Felipe Nyusi, desideroso di introdurre un modello alternativo che ricalca quello delle piantagioni brasiliane.

«La nostra Campagna continuerà a resistere contro un’idea di sviluppo escludente e discriminatorio – scrivono gli attivisti in una nota, divulgata a giugno scorso e firmata da 9 sigle su 30 del Nao ao ProSavana – basato sull’agro-negozio che ci viene imposto dall’alto, finalizzato all’accumulazione di capitale».

Quel che è successo nel corso degli anni è che il fronte degli attivisti, anche in seguito ad un sapiente gioco di marketing portato avanti dalla Majol comunicazione, si è spaccato al suo interno: una parte delle ong dà per buone le rassicurazioni del governo e sembra aver accettato dei compromessi. L’altro pezzo di associazionismo non molla e continua ad incalzare sia l’Agenzia giapponese che finanzia (Jica), sia la controparte mozambicana.

Lo zoccolo duro del dissenso è quello formato dalle sigle che fanno capo all’arcidiocesi di Nampula, come Adecru (Azione Accademica per lo Sviluppo delle comunità rurali), Cajupana, Forum Mulher e Marcha Mundial das Mulheres Moçambique (le donne contadine). E queste onlus non si arrendono, perché sanno che la savana è a rischio e viene erosa lentamente, senza grandi manifestazioni eclatanti, ma pezzo dopo pezzo.

«In questo senso ci sentiamo isolati – dice ancora suor Rita – la stampa estera in questi mesi ha parlato di successo della lotta dei contadini ma per noi non è del tutto vero».

Justiça Ambiental in una lunga lettera aperta parla di «meccanismi di dialogo fantoccio» messi in atto dalla Cooperazione tripartita di Giappone, Brasile e Mozambico per dare a bere a tutti che si tratti di un programma condiviso e trasparente. Ma il ProSavana, accusano i suoi detrattori, non è nulla di tutto ciò.

«Passati cinque anni in cui non sono stati prese in considerazione le nostre proposte, pensiamo che non si tratti più di dialogo ma di imposizioni», scrivono.

Elaborato dai governi dei tre Paesi nel 2009 e lanciato nel 2011, il ProSavana di fatto prevedeva una serie di investimenti per introdurre il modello fazenda (come nel cerrao, la savana del Brasile) in una fascia che copre 11 milioni di ettari di terra in 19 distretti nelle province di Zambesi, Nampula e Niassa.

Nel giugno 2014 le organizzazioni mozambicane lanciarono ufficialmente un movimento di opposizione con l’obiettivo di resistere all’avanzamento di quell’investimento che avrebbe sottratto la terra ai contadini in cambio di un lavoro a cottimo nelle grandi piantagioni di soia e girasoli.

Dal 2014 ad oggi, però, la strategia del Consorzio nippo-brasiliano è cambiata e si è fatta più sottile. In ogni caso, sebbene il programma sia ufficialmente in stand by, le attività private delle multinazionali installate sul territorio mozambicano acquisendo dal governo le concessioni, non si è per nulla arrestata.

Il motivo per cui contadini, missionari ed attivisti non si fidano della marcia indietro di Maputo sul ProSavana, è semplice quanto allarmante: sono anni che grandi aziende agricole imperversano tra la provincia di Nampula e quella di Zambesia. E sono in combutta col governo di Maputo. 

Ben prima e al di fuori del ProSavana (che in qualche modo non avrebbe fatto altro che sancire legalmente lo status quo), colossi agro-industriali come Mozaco, Agromoz, Matharia, Green Resources e Aviam, si sono già accaparrati la terra che appartiene alla gente dei villaggi in virtù del diritto consuetudinario.

Durante un lungo tour sulle tracce dei ‘ladri di terra’, intrapreso l’estate scorsa con suor Rita e l’avvocato di Giustizia e Pace, Assane Tipito, abbiamo potuto toccare con mano la realtà del land grabbing, raccontando la lotta di Davide contro Golia.

La loro strategia è semplice quanto perversa: entrano in punta di piedi, recintano terreni comunitari, espropriano. «La terra non la pagano, la occupano», dice suor Rita. Per pochi spiccioli comprano il silenzio di qualcuno.

I casi sono tanti; le modalità variano. Ma la sintesi è una soltanto: «Considerano i nostri campi come fossero terra abbandonata», lamenta Costa Esteban, dirigente dell’Unione provinciale dei contadini che guida la protesta dei camponeses.

Dal punto di vista della cooperazione allo sviluppo è stato poi introdotto un altro programma, il Sustenta – finanziato dalla Banca Mondiale – che a detta degli attivisti non è che un’alternativa ‘pulita’ per battere sul tasto della monocultura estensiva, sottraendo elle famiglie piccoli fazzoletti di terra per indurli a lavorare nei grandi appezzamenti, con investimenti delle banche private.

«Ripetiamo che ProSavana e Sustenta non saranno mai alternativi ad uno sviluppo agricolo autonomo che va incontro alle necessità dei mozambicani», si legge in uno dei comunicati della Campagna.

Per fare il punto della situazione gli attivisti dei tre Paesi e tutti gli aderenti alla Campagna Nao ao ProSavana che non si è ancora sciolta, si vedranno il 18 novembre prossimo a Tokyo dove è in agenda una ‘Triangular Peoples Conference”.

Non si parlerà solo di ProSavana, naturalmente, ma sarà un’occasione per confrontarsi sulle tecniche di land grabbing e per ribadire e rafforzare la resistenza dal basso, congiunta ed organizzata, che vede gli attivisti brasiliani e giapponesi in prima linea.