L’unico rifugio rimasto ai palestinesi di Gaza, la città di Rafah al sud, col suo valico, oramai non è più sicuro per nessuno.

E’ proprio qui che Israele ha iniziato a bombardare da ieri notte, ed è questa città al confine con l’Egitto, dove si ammassanno migliaia di peesone sfollate, ad essere target prioritario della ‘soluzione finale’.

Philippe Lazzarini, a capo dell’Unrwa, l’agenzia dell’Onu per i rifugiati palestinesi, ha dichiarato che «il panico sta aumentando in città, poichè i palestinesi non hanno assolutamente idea di dove andare dopo Rafah».  (clicca qui)

Il paradosso (crudele) è che Rafah è stata finora l’unica via d’uscita verso la libertà (tramite i tunnel che collegano all’Egitto), e il rifugio verso il quale Israele stesso ha spinto migliaia di persone che fuggivano dai bombardamenti di Khan Yunis.

Improvvisamente questa ‘zona più o meno franca’ non è più sicura, anzi.

Il bilancio dei morti e dei feriti palestinesi, colpiti sabato notte a Rafah  è drammatico: almeno 67 persone sono state ammazzate in seguito ai bombardamenti aerei. 

E centinaia sono i feriti. Nello stesso momento venivano liberati due ostaggi israeliani dei kibbutz.

I video forniti da Middle East Eye sono molto eloquenti, così come le informazioni del quotidiano israeliano Haaretz, che riporta in apertura la notizia della liberazione dei due ostaggi tenuti in una casa di Rafah da Hamas. 

Il punto è che la presenza degli ostaggi a Rafah, per liberare i quali si è ingaggiato un conflitto a fuoco, non può in nessun modo giustificare bombardamenti indiscriminati sulle abitazioni dei civili palestinesi.

Le istituzioni europee, tramite l’Alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza comunitaria, Josep Borrell, si sono dette «oltre modo preoccupate» per le minacce, divenute effettive, da parte di Israele di colpire il valico di Rafah.

«Sono felice del fatto che due ostaggi siano stati liberati, ma anche molto preoccupato per la situazione al confine con l’Egitto – ha detto oggi Borrell – dove nuove operazioni militari sembrano essere state messe in atto dalle forze di difesa israeliane».

Inoltre, le bombe israeliane sabato notte hanno colpito target civili ad appena 300 metri dal confine egiziano, cosa che allarma decisamente il presidente Al Sisi.

La Sinai Foundation ha denunciato questa violazione dei diritti e messo in guardia per la sicurezza dell’Egitto stesso.

Qualche giorno fa la minaccia da parte del premier Benjamin Netanyahu è stata:

«Non c’è altra soluzione se non una completa e definitiva vittoria.

Se Hamas sopravviverà, a Gaza sarà solo una questione di tempo fino al prossimo massacro».

Il massacro della notte tra sabato e domenica è un anticipo del programma di annientamento totale della Striscia.

Solo la diplomazia potrebbe mettere fine a questa carneficina. Ma chi potrebbe negoziare difronte alla totale violazione del diritto internazionale?

Una fonte egiziana avrebbe rivelato alla BBC che i negoziati erano stati avviati giovedì scorso a Il Cairo, e mediati dall’Egitto e dal Qatar, per cercare una soluzione pacifica come alternativa alla progetto definitivo di annientamento con le armi. (clicca qui)
Ma il negoziato potrebbe interrompersi se Israele continuerà a bombardare Rafah. Il motivo per cui ciò avviene è chiaro: bombardare per impedire ai palestinesi di fuggire.
Per attraversare il valico fino ad oggi servivano tanti soldi e c’è una lunga lista d’attesa.

Gli intermediari egiziani, illecitamente, si occupano di far funzionare questa specie di “via preferenziale” verso la salvezza, una sorta di corridoio umanitario privato, che specula sulla disperazione.

Prima dell’ennesima guerra e del 7 ottobre, la cifra per evacuare ammontava ad alcune centinaia di dollari, oggi servono diverse decine di migliaia di euro.

(Foto priva di copyright, Pexel)