Il giro di vite sui reati legati all’ordine pubblico in Tunisia si fa asfissiante. La lotta al terrorismo giustifica abusi di ogni sorta e violente repressioni della libertà d’espressione e di pensiero. Anche contro blogger e giornalisti, come denuncia Human Rights Watch Tunisia.

Ma i più minacciati in assoluto dal pugno di ferro di Essebsi, sono ancora una volta i rapper, come ai tempi di Ben Ali.

Parola libera, suburbana e irriverente per eccellenza, il rap proprio non è tollerato.

Emblematica la storia di Weld El 15 (all’anagrafe Ala Yaacoubi), rapper tunisino rifugiato in Bretagna, ora minacciato d’espulsione anche dal Paese dei lumi.

Condannato a due anni di carcere per “oltraggio alla polizia” nel 2013, Weld ha chiesto protezione alla Francia e l’ha ottenuta. Con tanto di riconoscimenti.

Al punto che nel 2014 compare nella rosa dei vincitori del Premio Sakharov per la libertà di pensiero (“assegnato a persone che abbiano contribuito in modo eccezionale alla lotta per i diritti umani in tutto il mondo”), assieme al collega marocchino L7a9d e al blogger egiziano Alaa Abd El-Fattah.

La nomination gli viene ritirata per una serie di tweet di qualche anno prima contro i bombardamenti israeliani su Gaza (operation Pillar of defense, 2012).

Oggi la prefettura di Ille-et-Vilaine vuole restituire Yaacoubi al Paese natio, a causa del suo rapporto d’amicizia con il rapper Emino, ex membro del gruppo, morto a Mossul dopo essersi affiliato all’Isis.

La prefettura francese in realtà considera Weld El 15 “una minaccia per l’ordine pubblico” e lo accusa di “consumo di cannabis”. Tornare a casa per il cantante tunisino equivale al carcere certo. E a guai grossi con la giustizia.

Lo incastra soprattutto quell’uso di cannabis che in Tunisia è un’onta.

Leggi sempre più restrittive vengono applicate da Tunisi ufficialmente per prevenire e reprimere il terrorismo di matrice jihadista; ufficiosamente – dicono associazioni e giornalisti – per ristabilire un ordine che puzza di militarismo.

Tanto che Nawaat, blog collettivo libero, nato nel 2004 e censurato fino al 2011, si chiede se la Tunisia sia ancora un Paese per giovani (Tunisie est-elle devenue un enfer pour la jeunesse?).

Human Rights Watch ad aprile scorso  divulgato un bel video all’interno di una campagna valida adesso più che mai: “No to terrorism, yes to human rights”.

HRW scrive che le persone in Tunisia vengono “condannate con l’accusa di diffamazione e ‘insulto’ a pubblico ufficiale” o minacce all’ordine pubblico e offesa alla “morale pubblica”. Alcuni giornalisti e   blogger per aver divulgato semplici “opinioni personali”.

C’è poi la questione della famosa Legge 52, quella per chi fa uso di droghe, compresa la cannabis, in vigore dal 1992. Usata con disinvoltura per mettere dietro le sbarre giovani ribelli (o meno che ribelli).

 “A dicembre 2015 7mila451 persone erano state perseguite per reati legati alla detenzione di droghe – scrive HRW –  7mila 306 delle quali erano uomini e 145 donne, secondo il ministero della giustizia.

Circa il 70% di queste (5.200 persone grosso modo) sono pregiudicate per uso o possesso di cannabis, che in Tunisia viene chiamata ‘zatla’. Gli illeciti legati alle droghe rappresentano il 28% dell’intera popolazione carceraria”.

Un anno fa Freemuse, piattaforma danese in difesa della libertà d’espressione dei musicisti (con status Speciale consultivo allo United Nation‘s Economic and Social Council)  pubblica un reportage dal titolo Tunisia: musicisti alle prese con censura e repressione.

“In Tunisia ci sono due tipologie di rapper- scrive  : quelli come El General e Mos Anif hanno catturato l’interesse internazionale al momento della cacciata di Zinedine Ben Ali tra 2010 e 2011 con i loro testi che denunciano corruzione e ingiustizia sociale. (…)

El General venne arrestato il 24 dicembre 2010 e divenne il simbolo delle politiche repressive di Ben Ali.

“Poi ci sono gli undeground come Weld El 15, Madou Mc, Phenix, Klay BBJ, Bendir Man, Hamzoui Med Amine: il loro rap è spesso una rude descrizione delle rispettive esperienze di violenza da parte della polizia, della povertà urbana e della corruzione”.

Questi “poeti urbani”, dice ancora Daniel Brown per Freemuse, parlano di abusi da parte delle forze dell’ordine e di connivenza politica; le parole sono mutuate dallo slang dei ghetti e sono violente e irriducibili.

Il rap diventa così un tratto essenziale della scena musicale d’opposizione tunisina. Quello che meglio esprime la rabbia e il senso di confusione imperante tra i giovani.

Weld Eld, Phènix, Kafon e Madou MC sono stati arrestati e condannati al carcere, la loro musica è bandita dalle radio e tv. Le accuse vanno da quella più grave, di complotto contro la Tunisia al consumo illegale di droghe. Alcuni sono costretti ad un esilio forzato in Francia, altri hanno raggiunto l’Isis in Siria.

Molti di questi cantanti appartengono alle classi sociali più povere ed emarginate e rappresentano una musica considerata di serie b, popolare, niente affatto elitaria.

I rapper cantano anche la necessità di valorizzare la cultura delle periferie tunisine, dove i fondi pubblici non arrivano mai, dove la rivoluzione non ha cambiato le condizioni di vita della gente, e il lavoro non c’è.

Il rap è ritmo e parola ribelle, che oggi rappresenta bene il grido di rabbia di tutti i tunisini lasciati indietro. La spaccatura sociale tra ricchi e poveri (anche tra giovani ricchi e giovani poveri), tra centro e periferia, è la nuova questione sociale tunisina.

Trascurarla o reprimerla significa ignorare nuovamente i prossimi segnali di rivolta.