L’autoproclamata federazione curda nel Nord della Siria potrebbe diventare un modello di Stato federale per l’intero Paese, travagliato dall’infinita guerra civile tra il regime di Assad e le mille fazioni ribelli?

I Curdi siriani stanno provando a testare una propria entità geografica e politica, amministrativamente autonoma, ma parte integrante della futura Siria pacificata.

Lo scorso 17 marzo hanno proclamato unilateralmente il Il Sistema Federale Democratico di Rojava e Siria del Nord. Ossia un’entità federale dentro la Siria. Il cui fulcro è l’architrave della democrazia diretta. I Curdi siriani non lo chiamano Stato curdo però (come il Kurdistan iracheno), perché non ne vogliono un altro: uno Stato già ce l’hanno ed è quello di Siria.

All’interno del quale si sono ritagliati uno spazio composto dal Rojava e da altre zone del Nord.

«Questo nostro sistema non sarà un nuovo Kurdistan, ma una nuova Siria», ha precisato il co-leader curdo del Partito di Unione Democratica (Pyd), Salih Muslim Mohammed, intervistato da Middle East Eye. L’entità geopolitica è composta da tre cantoni: Jazeera, Kobane e Afrin (ossia il Rojava) e altre città arabe del Nord. I partiti curdi già gestiscono un sistema di tre governatorati autonomi con forze di polizia indipendenti, scuole e amministrazioni comunali.

I tre cantoni si estendono lungo il confine settentrionale della Siria con la Turchia: Afrin e Kobane, rispettivamente a Nord-Ovest e Nord-Est della provincia di Aleppo, e Jazeera nella provincia di Hasaka.

L’Unità di Protezione del Popolo (Ypg), forza curda molto efficace in combattimento, è stata artefice della prima vittoria contro i jihadisti dell’Isis, cacciati dalle fasce di territorio usurpato in quelle zone. La Turchia, però, dei partigiani curdi non vuole saperne: considera lo Ypg una filiale siriana del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), suo acerrimo nemico da sempre, dichiarato fuori legge da Ankara. E dunque li accomuna ai terroristi e li contrasta in ogni modo. Celebre è stata la lotta per Kobane, che i peshmerga curdi hanno liberato da soli combattendo contro l’Isis, privi di qualsiasi sostegno turco. In quei giorni di due anni fa ci si chiedeva come potessero da soli resistere in una città così sventrata. E fu un successo celebrato dal mondo intero.

Sulla Siria i Curdi siriani del Pyd hanno le idee molto chiare: il nuovo Stato post-Assad non dovrebbe nascere per dividere ulteriormente il popolo, ma per sperimentare un modello di unità, integrazione e uguaglianza. Tant’è che i leader curdi vorrebbero che il loro modello federale facesse da esempio a tutta la Siria, decentralizzata ma non spaccata. «Nella futura terra siriana ognuno vedrà rispettati i propri diritti», dicono.

A Ginevra tra federalismo e unità

Nel comunicato divulgato dall’Assemblea Costituente della neonata federazione curda si legge:

«Noi rappresentanti di queste aree, riunitici il 16 e 17 marzo 2016, ricordando con rispetto e apprezzamento i martiri curdi che hanno pagato col sangue la più eroica resistenza», vogliamo che «la futura Siria sia una terra per tutti i siriani». Questo è l’obiettivo del sistema federale del Rojava del Nord. Non vogliono una divisione federale su base etnica o religiosa, però, ma una struttura che si fondi sull’autogoverno. Un’idea ben diversa dalla divisione immaginata dalla comunità internazionale e messa sul tavolo di Ginevra che andrebbe invece a radicare i settarismi interni. La nostra è «un’amministrazione autonoma curda – ha detto ad Askanews una fonte ufficiale curda – intesa all’interno di un futuro Stato federale in Siria».

La stessa voce ha spiegato che la «regione autonoma avrà confini amministrativi su basi geografiche a prescindere delle sue componenti etniche».

Ovviamente il progetto trova ostacoli un po’ ovunque: la determinazione curda cozza contro gli altri interessi regionali. Sia Damasco che le opposizioni siriane ostacolano il progetto federale: la Siria non sarà spartita in entità amministrative diverse ma dovrà mantenere unità e integrità statuale, dicono. La paura è che la Siria possa perdere pezzi nel corso del tempo ed essere meno gestibile a livello centrale. Pertanto non riconoscono l’auto-proclamata autonomia curda.

«Uno dei principali obiettivi della rivoluzione siriana è l’unità ed integrità del territorio e delle persone – aveva detto Anas al-Abda, capo della Coalizione Nazionale delle Forze Rivoluzionarie Siriane – Ogni proposta che dovesse minare questo status non è accettabile».

Molti media arabi sostengono che «una federazione nel Nord della Siria sarebbe il primo passo verso lo smembramento del Paese». A Ginevra si ipotizza invece di trasformare la Siria in uno Stato federale sotto un governo centrale. «Mantenendo l’integrità territoriale e continuando a considerarlo un Paese unico, ci sono molti modelli di struttura federale che garantirebbero autonomia a diverse regioni», ha dichiarato una delle fonti della Reuters.

Il federalismo, in realtà, spaventa il mondo arabo perché rimanda a divisioni e settarismi di antica memoria: per molti gruppi d’interesse è una parola che ricorda minoranze oppresse, Stati nazione minori e gruppi in lotta per il potere. Una storia che ha riguardato da vicino Siria e Iraq: entrambi emersi dall’impero ottomano un secolo fa dopo l’accordo Sykes-Picot. L’Iraq è ormai uno stato al collasso: frammentato e diviso su base confessionale-etnica, non somiglia più da molto tempo ad uno Stato moderno.

Donne al timone

I Curdi di Rojva, però, non mollano. E ribadiscono che la loro entità non è etnica: pretendono un’autonomia insistendo che non è escludente. Questa nuova entità politica non vuole assecondare divisioni religiose ma garantire le conquiste fatte negli ultimi anni.

«Rojava è patria di una notevole rivoluzione – ha scritto Rahila Gupta per il sito della Cnn – E non uso a caso la parola rivoluzione. Dai tempi delle Primavere arabe del 2011, la popolazione a maggioranza curda del Rojava, che conta tre, quattro milioni di persone, ha compiuto una trasformazione copernicana della società, volgendola in democrazia diretta, organizzata in tre cantoni di autogoverno, sul modello svizzero». Il Rojava e tutto il nascente sistema federale del Nord non è identificabile con la sola nazionalità curda: ha saputo dare vita in pochi anni ad un modello funzionante di democrazia dal basso, di cui fanno parte i Curdi siriani, ma anche arabi, turkmeni e cristiani. Inoltre non ci sono divisioni religiose: i sunniti convivono con i cristiani.

«La loro capacità militare (ma anche ideologica) di resistenza alla macchina da guerra dello Stato Islamico, ne hanno fatto un imprescindibile alleato sia per l’Occidente che per il fronte Mosca-Damasco», spiega Chiara Cruciati sul Manifesto. Nello statuto del sistema federale curdo si legge che «la libertà delle donne è un’essenza del sistema. Le donne saranno rappresentate come eguali in tutte le sfere della vita, inclusi gli aspetti sociali e politici».

La strada per arrivare a questo salto di qualità non è stata immediata: per sbarazzarsi del patriarcato e dello Stato le donne hanno compiuto notevoli processi di empowerment nella costruzione di un sistema autonomo.

Chi aveva preso posto nelle file delle Ypg ha deciso di organizzarsi in modo indipendente a livello militare, prendendo il nome di Unità di Difesa delle Donne. Organizzate in brigate e battaglioni in tutte le province per difendere la popolazione. Anche le attività dei giovani sono state organizzate autonomamente sotto il nome di “Movimento della Gioventù Rivoluzionaria”. In campo economico nel 2013 è nata l’Associazione per lo sviluppo dell’economia del Kurdistan occidentale, per rompere l’embargo e costruire un sistema nuovo di risoluzione dei conflitti.