Il #46marzo (15 aprile), due settimane dopo la grande mobilitazione del 31 marzo a Parigi, il movimento Nuit Debout continua a diffondersi. In numerose città francesi e europee, le Nuit Debout esplodono e riflettono speranze e rivolte comuni. Tutti quelli che hanno attraversato le piazze occupate e hanno partecipato lo sanno bene: sta succedendo qualcosa“.

Con quest’appello tradotto in 11 lingue sul sito di www.nuitdebout.fr i movimenti francesi danno appuntamento agli altri fratelli europei il 7 e 8 maggio a Parigi.

L’idea è “la convergenza di lotte”. E per il prossimo 15 maggio lanciano una giornata di mobilitazione nelle piazze di tutte le città europee per “la giustizia e la democrazia reale”.

Roma ha quasi raccolto la sfida: i movimenti cittadini si organizzano per occupare finalmente ‘lo spazio pubblico’ che ha smesso da un pezzo d’esser ‘vissuto’ come comune e  condiviso, senza barriere e senza pudori. Comune-info aggiorna quotidianamente sulle novità del fenomeno francese e dei suoi risvolti italiani.

Ma è davvero così? A Parigi “Sta succedendo davvero qualcosa”, come dicono i parigini delle notti in bianco?

Il manifesto di Nuit debout (notti in piedi a place de la Republique, con studenti, attivisti, bobos e intellettuali divisi in commissioni tematiche e in assemblee generali), racconta certamente di una Francia  ridestata. Le notti in piedi sono notti in bianco: segno di irrequietezza. Di un desiderio di non chiudersi nello spazio privato, di condividere opinioni, timori, proteste.

Di ‘vegliare’. Insieme. Far da sentinella. A cosa? Alla democrazia.

Quand’è che non si dorme la notte, che si sta all’erta, che non ci si permette di chiudere occhio? Quando c’è un’emergenza. Una preoccupazione. Un disagio. Una paura.

Ecco: alcuni francesi hanno capito prima di altri europei (forse ridestati dal colpo basso degli attentati al Bataclan ecc…) che questi devono essere tempi di veglia. Non ci si può permettere il riposo.

Non si può abdicare al controllo sul naturale processo democratico. La democrazia non è più scontata.

Lo spazio pubblico de la Republique ha preso a respirare ogni notte. E fa da cassa di risonanza alle proteste di altre piazze minori. In Francia anche Tolosa, Bordeaux e Lille si mobilitano.

La scommessa vera però è arrivare nelle banlieue: qualcuno sta provando ad accendere il fuoco di Parigi. Almamy Kanoutè, ad esempio. E’ un educatore di adolescenti a Fresnes, una banlieue parigina.

Lui è un attivista dei movimenti sociali e crede nella possibilità di coinvolgere le periferie. La vera scommessa sarà questa: passare dal centro alla periferia.

Les banlieusards (gli abitanti delle banlieu) sono considerati “cittadini di seconda classe”. C’è un riflesso neo-coloniale nei politici che ragionano con categorie divisorie.

Nuit Debout e Banlieues debout – scrive les Inrocks citando soprattutto Almamy Kanoutè – sono “l’occasione per mettere assieme persone molto differenti: abitanti delle banlieues, bobos (militanti della sinistra radical chic), agricoltori, uomini, donne militanti, apolitici, giovani e vecchi. Tutti. Salvo, forse, i “colletti bianchi”.

E’ tempo che il popolo riprenda il potere. Un popolo che è già parte di una nuova classe sociale. Solo che spesso non lo sa.

Propagare la protesta dai movimenti organizzati (tendenzialmente di sinistra), alla piazza sciolta. Ai comuni cittadini che senza appartenenze politiche e movimentiste sentano l’esigenza di esserci, è la seconda scommessa.

Cosa discutono alle Nuit Debout? Perchè dibattono? Chi sono i nottambuli francesi?

I temi sul tavolo sono quelli sofferti da mezza Europa (o ormai da tutta Europa).

E’ l’economia dell’austerità che non quadra. Non regge. Che fa acqua. Che disturba il popolo. E’ la distruzione delle protezioni sociali godute negli anni andati del Welfare State.

A Parigi la legge di troppo è stata la riforma del lavoro. Un Jobs Act alla francese che i francesi non hanno mandato giù.

“Nelle assemblee universitarie (miste, non miste, di dipartimento e interfacoltà), che si susseguono e si moltiplicano a scadenze ravvicinate, il lavoro è in questione: si discute delle 32 ore, dei sussidi di disoccupazione, di basic income e organizzazione sindacale”, scrive il Manifesto.

Ma sono anche le politiche da ‘Stato di polizia’ in nome di una sicurezza contro eventuali pericoli terroristici, che limitano la libertà, la democrazia, l’accoglienza; è la chiusura degli Stati nazione che di fronte alle trasformazioni ‘umane’ di un mondo in evoluzione (e naturalmente globale), rivendicano i loro confini, la sovranità, il potere assoluto.

Il popolo più accorto vede tutto questo. E soffre zitto. Vede che in nome degli Stati nazione si sacrificano i diritti dei popoli.

Ma adesso per fortuna non può più dormirci la notte.  

Quando diversi cittadini di una città moderna ed evoluta (come Parigi. Come Bruxelles? Come Roma?) capiscono che non possono più ‘dormire la notte’ perchè un tarlo li divora, il più è fatto.

Vedono i governi prendere pieghe indesiderate, verso mondi e Paesi più ‘sicuri’ e più autoritari. Meno solidali e meno ‘umani’.

Allora, ecco: il segno che la vita ancora scorre e che la paralisi non ha paralizzato è questo.

E’ la notte.

Se un popolo di notte non riesce più a chiudere occhio e freme perchè sente che gli si distruggono i sogni, le aspirazioni ad una apertura globale e umana, allora è fatta.

Ha vinto la vitalità, la grande spinta verso la vita. Ha vinto la capacità di non annullarsi.

Un po’ questo accade a Parigi. Ancora non c’è un popolo intero. C’è un popolo a metà.

Non ci sono le banlieue.

In Europa non c’è un popolo in piazza. Questo è chiaro. Ci sono però primi tentativi di riprendersi la piazza. 

Il che non è poco. Il resto lo dobbiamo fare noi.