Le Ong in Italia sono oramai da tempo sotto attacco e non solo perché Matteo Salvini nutre per loro un odio viscerale. L’ostilità salviniana che le affossa e le svilisce ha dei precedenti.

Un filo rosso lega il governo Conte a quello Gentiloni nella deliberata volontà di abbattere la loro credibilità ed efficacia.

Il Codice di condotta Minniti per le Ong impegnate nelle operazioni di salvataggio in mare introduceva già forti dubbi sul loro operato. Ma andando a ritroso, ben prima della demonizzazione recente, è vero che l’indebolimento di tutto il no-profit, dal volontariato alla Cooperazione internazionale, col disimpegno progressivo di fondi pubblici, inizia una decina di anni fa.

Franco Frattini era ministro degli Esteri del governo Berlusconi ed Elisabetta Belloni direttrice generale del Dipartimento di Cooperazione: è con loro che entra in gioco l’idea di “privatizzare” la Cooperazione allo Sviluppo.

Frattini sbandiera il nuovo corso: «L’aiuto allo sviluppo internazionale di tipo paternalistico-tradizionale ha fatto il suo tempo. Serve un nuovo modo di fare sviluppo». 

Belloni esegue e siamo al 2009: «I fondi continuano a essere esigui, tanto che non è prevista alcuna iniziativa che verrà svolta attraverso la collaborazione con le organizzazioni non governative».

Per la prima volta al Forum della Cooperazione Internazionale di Milano nel 2012 si comincia a parlare dell’ingresso di soggetti privati nella Cooperazione allo Sviluppo, nutrendo la speranza di realizzare delle partnership tra profit e no-profit.

Qualcuno già allora intravedeva grossi rischi ma per lo più il mondo del volontariato esulta. L’approccio prosegue poi  con la stesura della nuova legge di riforma della Cooperazione nel 2014, per la verità accolta con molto favore dalle stesse Ong, poiché allargava lo spettro dei soggetti abilitati a realizzare iniziative di sviluppo e lotta alla povertà.

Da lì in poi però le cose vanno sempre peggio tanto che la riforma si rivela un mezzo flop.

L’ultimo rapporto Open Polis dice che c’è stato “un ritorno al passato”: la crescita dell’Aps promessa è stata smentita dalla legge finanziaria e dunque gli aiuti destinati ai progetti di sviluppo calano per la prima volta in quattro anni.

Mentre l’Agenzia di Cooperazione nata con la riforma, ristagna in una impasse, lasciata da oltre un anno senza un direttore e i politici continuano nel trend di criminalizzare le Ong in Italia e depotenziarle nei Paesi in via di Sviluppo.

Con la legge 125 del 2014 di fatto la Cooperazione allo Sviluppo apriva le porte davvero a tutti: dalle aziende ai sindacati, dalle cooperative al volontariato, dalle università alle fondazioni.

La vera novità però è che abilita soggetti con «finalità di lucro», le aziende, ad andare in Africa per realizzare interventi a favore dei poveri, sdoganando così i privati. A patto che siano etici, rispettino clausole ambientali e diritti umani. I nuovi mantra diventano ‘partenariato’, ‘sviluppo sostenibile’, ‘business inclusivo’.

Ma la sottile e perversa speranza del legislatore rimane sotto traccia quella di riuscire a veicolare fondi privati per rimpolpare il flusso sempre più scarso di Aiuto pubblico allo sviluppo – Aps – che infatti continua a diminuire.

«La questione non è quanto sono voluminose le risorse pubbliche  – diceva l’allora direttrice dell’Agenzia italiana di Cooperazione Laura Frigenti – ma come riescono ad operare in modo catalitico per far convergere flussi finanziari privati a favore dello sviluppo».

Una prospettiva fallita o mai avviata, come attestano i report della stessa Cooperazione e come spiega Oxfam in diversi dossier. Ci vuole cautela «nella promozione su larga scala dell’azione privata come panacea dello sviluppo», mette in guardia la Ong.

Nel frattempo l’Aiuto Pubblico è prima leggermente aumentato e poi calato e gli agognati fondi privati non sono mai arrivati, anche perché la credibilità dell’Italia all’estero è sempre più bassa.

D’altra parte le cosiddette partnership pubblico-privato non funzionano perché fare affidamento sulla ‘bontà’ del business in Africa come in Asia o America Latina, non solo è pura utopia ma è anche molto pericoloso.

«In Italia, dopo Expo 2015, abbiamo visto progredire il ruolo delle aziende del settore alimentare nell’ambito dello Sviluppo, e soprattutto Barilla, tramite la sua Fondazione – ci spiega Nicoletta Dentico, consigliera d’amministrazione di Banca Etica – La riforma del 2014 ha tristemente istituzionalizzato la presenza degli attori privati, per farli entrare a pieno titolo nell’agenda dei beni comuni».

Oltre a Barilla c’è la Ferrero che realizza progetti di sviluppo in Camerun e Sudafrica. Si dirà: che c’è di male?

Il problema non sono le aziende, il problema è che mancano le regole del gioco: i privati di per sé non sono il diavolo. Ma perseguono, per loro stessa ragione sociale, un altro fine: quello della massimizzazione del profitto.

Quindi è molto controversa la loro presenza nei processi decisionali. Se nessuno mette chiari paletti,  inevitabilmente sconfinano in territori che sono propri della agenda dei diritti umani, con enormi conflitti di interesse.

Eppure molti sono caduti nel tranello: «E’ stato rotto uno schema linguistico, un dogma-  spiegava Luca Pietromarchi, rettore dell’Universita’ Roma Tre a proposito della legge 125 – perche’ quando si diceva cooperazione si diceva necessariamente anche no profit».

Una mutazione genetica che il rettore Magnifico chiama addirittura geniale: «la Cooperazione in Italia è cambiata in modo geniale, aprendosi alle aziende che fanno profitto e che lo sanno fare: ora può mutare anche il nostro impatto nel mondo».

La verità è che dal 2014 ad oggi il nostro impatto nel mondo, soprattutto in Africa, non solo non è cambiato ma laddove è successo è stato in peggio, vedi la Libia. 

Le nostre aziende vanno a delocalizzare nei Paesi poveri perché a loro conviene e non perché sentano l’urgenza di realizzare progetti d’aiuto, cosa che invece compete ad esperti, cooperanti, volontari e missionari.

Non a caso gli studi sulla Cooperazione Internazionale costituiscono materia d’esame e confluiscono in master post-universitari che attestano un expertise. La Cooperazione, insomma, non si improvvisa. E i cooperanti sono, o erano, degli esperti dello sviluppo.

Dalla svalutazione di una professione di tutto rispetto alla ridicolizzazione delle persone, il passo è breve: la vicenda di Silvia Romano, la volontaria rapita in Kenya lo dimostra.

Il punto è che «i governi in questi anni hanno abdicato in larga misura ai privati le loro competenze in materia di sanità globale, agricoltura, diritti umani e hanno permesso ad altri attori di sostituirsi ad una governance pubblica», dice ancora Nicoletta Dentico.

Questo ovviamente non è solo un trend italiano ma internazionale. La regia operativa fa capo a fondazioni filantropiche come la Rockfeller Foundation e la Bill and Melinda Gates Foundation. La sanità è stato il primo terreno di sperimentazione del nuovo modello e infatti la venture philanthopy ha dimostrato  di poter orientare attraverso i suoi finanziamenti le politiche di sanità pubblica mondiale. In una parola si può dire che siamo difronte ad un filantro-capitalismo.

Di fatto la più grande multinazionale italiana del petrolio, del gas e dell’energia è diventata un attore prioritario dello sviluppo nei Paesi africani, al pari di Action Aid, Save the Children e Intersos.

L’Eni addirittura orienta intere politiche di Cooperazione italiana ed è un finanziatore di Ong valide e con una storia di successo alle spalle, come il Cuamm, Medici con l’Africa.

Il ritorno di immagine e di business per l’Eni è impareggiabile: la multinazionale si apre strade nuove in Paesi border line come la Nigeria o l’Angola, ottiene concessioni di esplorazione di bacini petroliferi dai governi africani. In cambio concede le sue briciole: costruzione di  dighe e scuole, progetti per donne e bambini, validissimi modelli di energie pulite.

Questa ‘tassa’ pagata ai governi, peraltro consente alla multinazionale di non dover più necessariamente sborsare tangenti sotto banco, come quelle per le quali è ancora sotto inchiesta in Nigeria.

In compenso le Ong, trattate come un sottoprodotto scaduto della Cooperazione Italiana allo sviluppo, già di per sé svalutata e vilipesa con i tagli all’Aps, oggi boccheggiano e nessuno protesta. 

«La contrapposizione violenta al principio della solidarietà e cooperazione – ci dice Silvia Stilli, portavoce Aoi, l’associazione delle Ong italiane, – è un vero e proprio atto di accusa che indebolisce drammaticamente le ong». E prosegue: «per la prima volta dagli ultimi quattro anni stiamo facendo passi indietro nello stanziamento dei fondi, mentre l’Italia doveva arrivare allo 0,30% del Pil nel 2020, con questa finanziaria si è creato un blocco e una riduzione».

Ma c’è di più: Oxfam nel suo dossier svela che esiste un aiuto ‘gonfiato’: ossia viene contabilizzato come aiuto ai paesi poveri anche quello  destinato all’accoglienza dei rifugiati.

Si tratta di fondi che non escono dal nostro Paese (il donatore) e che poco hanno a che fare con la lotta alla povertà: è qui che si vede il controsenso logico di un governo che da una parte si rifiuta di accogliere i rifugiati – pur ricevendo dei fondi ad hoc – e dall’altra taglia ulteriormente gli aiuti per i Paesi poveri tramite le Ong.

Un cortocircuito esistenziale. Peraltro senza impedire che le Ong vengano ancora utilizzate, laddove sono indispensabili – per la ricostruzione del tessuto sociale in Siria ad esempio, o nel controllo dei campi di reclusione in Libia – o come testa di ponte della diplomazia italiana in Palestina e l’Afghanistan.

Insomma, le Ong sono diventate nel corso degli ultimi dieci anni delle pedine nelle mani dei governi che si sono succeduti, e soprattutto dell’attuale ministro degli Interni Matteo Salvini che le muove a suo piacimento, abusando del proprio ruolo.

Le organizzazioni non governative e il mondo del volontariato in genere, vengono presi di mira senza pietà, affossati, vilipesi, criminalizzati, fino ad arrivare alle accuse di connivenza con trafficanti e scafisti che ledono fortemente l’integrità delle persone e la credibilità di un settore, come abbiamo visto profondamente in crisi.

Matteo Salvini si scaglia contro chi è già a terra, ridotto al lumicino e con una  reputazione segnata da calunnie e offese. Mentre pochissimo si dice di quanto i cooperanti e tutti quelli che lavorano nelle Ong, giovani e meno giovani, siano molto motivati e disposti a vivere situazioni di disagio, di pericolo, di scarsa gratificazione economica. Sono la nostra meglio gioventù e la stiamo maltrattando senza una ragione.