Il lupo perde il pelo ma non il vizio. Anzi. Il vizio si perfeziona.
Così, le tecniche di land grabbing, letteralmente “furto di terra”, stanno diventando sempre più sofisticate e subdole in Africa.
Governi, grandi aziende locali e multinazionali si alleano in nome del profitto, e puntano ad usare l’arma della manipolazione (e della seduzione) per cooptare la società civile. Un progetto “arraffa terra” come quello del Consorzio ProSavana in Mozambico, mutuato dai ladri di terra brasiliani, si sta insinuando nel tessuto sociale, trovando aimè sostenitori proprio tra chi dovrebbe per primo combatterlo: ong, organizzazioni dei diritti civili, leader locali.
E non si tratta sempre di piccoli soggetti: il WWF, ad esempio, in questa partita, è sotto accusa. Com’è possibile?
A spiegarci cosa sta accadendo nella diocesi di Nampula, nel Nord del Mozambico, sono due convintissimi oppositori del land grabbing: un’agguerrita comboniana, suor Rita Zaninelli di Giustizia e Pace, e un navigato attivista mozambicano, Jeremias Vunjanhe.
Li raggiungiamo via skype: la prima cosa che ci chiedono è collaborazione e aiuto per rendere sempre più professionale l’opposizione ai land grabbers.
«Nel giugno 2014 le organizzazioni mozambicane lanciarono ufficialmente un movimento di opposizione al ProSavana con l’obiettivo di resistere all’avanzamento di quel progetto d’investimento teso ad usurpare la terra ai contadini», dice Jeremias spiegandoci l’antefatto.
Questa Campagna popolare della società civile è universalmente nota come Não ao ProSavana. E all’inizio ha funzionato bene, tanto che i contadini a più riprese hanno detto no alle lusinghe del governo. Dal 2014 ad oggi, però, la strategia del Consorzio a tre (sono coinvolti i governi di Brasile, Giappone e Mozambico) è cambiata parecchio.
Le tecniche di comunicazione sono più sottili: penetrano nel tessuto sociale frammentando l’opposizione. La sintesi è che le grandi multinazionali stanno avendo la meglio.
Tutto inizia quando il Ministero delle politiche agricole e della sicurezza alimentare di Maputo dichiara la concessione di 102mila chilometri quadrati di terra arabile al Consórcio ProSavana, costituito da imprenditori mozambicani, giapponesi e brasiliani.
Queste terre fertilissime si trovano nella regione settentrionale del Paese, in particolare nelle province di Nampula, Lichinga e Zambezia, dove vivono circa quattro milioni e 200mila persone.
Per convincere i contadini della bontà del mega-progetto di agro business industriale, il ministro dell’Agricoltura di Maputo lascia intravedere ai piccoli agricoltori la possibilità di diventare produttori intensivi di soia o jatropha market oriented, cioè aperti al mercato.
I moderni latifondisti, in accordo con i governi, si rifanno anche all’antico divide et impera. E così se la Lega mozambicana dei diritti umani, il Forum delle donne, La Marcia Mondiale delle donne, gli Amici della Terra, varie organizzazioni ambientaliste e l’Unione provinciale dei contadini del Mozambico sono contro il mega progetto, le altre iniziano a schierarsi con il Consorzio nippo-brasiliano. Allettate dalla promessa di sviluppo.
La piattaforma delle Organizzazioni della Società civile di Nampula, il Forum delle Ong di Niassa e il Forum delle Ong dello Zambesi stanno con ProSavana. Il WWF è l’ultima novità.
«L’obiettivo intermedio era dividere il popolo e ci sono riusciti. Hanno confuso la società civile», spiega anche suor Rita. «Sono riusciti a frammentarla. Hanno creato un conflitto», ripete la comboniana.
Di mezzo c’è una società di consulenza e comunicazione che ha proprio il ruolo di “mediare” con la base: si chiama Consorzio Majol. Tanto che il 7 marzo 2016 il movimento Não ao ProSavana, di cui fa parte anche Giustizia e Pace, ha denunciato il coinvolgimento del WWF nel Pro-Savana.
«Abbiamo verificato l’esistenza di un’alleanza tra il WWF e una società di consultazione chiamata Majol, contattata dai proponenti del ProSavana per fare da intermediari tra questo e la società civile mozambicana», si legge.
«Il ProSavana è la replica di quello brasiliano», spiega Jeremias.
Lì ha avuto pieno successo, qui ancora è sotto attacco. La storia si ripete. Di mezzo c’è sempre un governo che vuol fare soldi con altri governi, sulla pelle dei poveri: il che significa la fine dell’agricoltura domestica e famigliare, delle piccole comunità e delle coltivazioni diversificate.
«L’avanzamento del ProSavana rappresenta un ritorno delle compagnie coloniali. C’è una comunità a Nampula che ha già subito l’espropriazione di oltre duemila ettari di terra da parte di un’impresa che fa parte del ProSavana e vuole produrre soia», spiega Jeremias.
Suor Rita dice che in futuro probabilmente, chi dentro la Chiesa in Mozambico vuole combattere il programma ProSavana farà rete con i movimenti dei diritti umani trasversali e internazionali.
«La buona volontà non è sufficiente – dice Rita – Come Giustizia e Pace noi sappiamo che il modo più qualificante e più efficace di vincere questa battaglia, è tecnico. Stiamo lottando per poter avere un giurista nella nostra squadra e anche un comunicatore professionista perché la disinformazione è terribile. Ci vorrebbe una rete».
(L’articolo completo sarà pubblicato sul numero di giugno di Popoli e Missione).