Che l’Africa non fosse una priorità politica o commerciale per il presidente Donald Trump lo si era capito ancor prima che venisse eletto.

Ma l’atteggiamento strafottente e talvolta dichiaratamente anti-africano di The Donald va molto al di là di quanto immaginato.

Non solo per le gaffe come quella sullo Stato africano inventato (l’inesistente Nambia, nominata da lui per ben due volte nel corso di una cerimonia ufficiale), ma anche per i ritardi nello scegliere i rappresentanti della Casa Bianca in Africa e i tagli a USAID, gli aiuti pubblici per la Cooperazione in Africa.

Gli analisti e i giornalisti africani ricambiano quest’indifferenza dedicando attenzione alle falle degli impegni americani nel continente nero. E’ una stampa severa e puntigliosa quella che incalza Trump.

Il cambio di prospettiva tra The Donald e il suo predecessore Obama è totale: naturalmente qualsiasi confronto tra i due è superfluo.

Con Trump però ci troviamo di fronte ad un nonsense che sa quasi di dispercezione della realtà.

Il giornale on line African Arguments titola “La politica di Trump per l’Africa, confusa e incerta”.

«Trump non manifesta alcun interesse per l’Africa. Né lo fanno i suoi più stretti collaboratori. Eccetto alcuni commenti fatti in campagna elettorale sulla Libia e Bengasi, il presidente pochissime volte ha citato il continente».

Neanche come uomo d’affari Trump intravede nell’ Africa una qualche forma di utilità «nonostante la sua rete globale di hotel, strutture turistiche e golfistiche presenti un po’ in tutto il mondo».

L’unico membro dello stretto circolo trumpiano che manifesta un qualche interesse per l’ Africa è il segretario di Stato Rex Tillerson. Che difatti nei primi tre mesi del 2018 dovrebbe compiere un viaggio diplomatico in alcuni dei Paesi-chiave del continente, come scrive il sito sudafricano E-news Channel Africa.

Il motivo del viaggio è cercare di colmare la falla di Trump che per mesi si è preoccupata di altre relazioni militari e diplomatiche, tralasciando quelle col continente nero: «l’attenzione politica e mediatica era concentrata sui combattimenti in Afghanistan, Iraq e Siria», scrive il sito.

Per riallacciare i fili afro-americani il più adatto pare alla stampa proprio Tillerson che «ha esperienza in quel contesto  – scrive sarcasticamente il giornalista di African Arguments – per via dei molti anni passati nell’industria petrolifera ExxonMobil, la maggior parte dei quali a contatto con leader africani corrotti e autoritari».

Secondo il Newsweek ci sono però alcuni africani che amano molto il presidente Usa, uno di questi è la Nigeria.

In un lungo analitico pezzo sulle relazioni tra la Nigeria e gli Stati uniti, dal titolo “A chi piace il Presidente Trump? In Africa i nigeriani sono grandi fans di the Donald”, il Newsweek tenta di capire i motivi.

«Il nigeriano Buhari è uno dei pochi leader africani ad aver parlato al telefono con Trump – scrive il Newsweek – a febbraio scorso. Trump lo ha complimentato per l’acquisto di aeromobili provenienti dagli Usa a sostegno della battaglia della Nigeria contro Boko Haram».

Il gruppo secessionista nigeriano pro-Biafra ama Trump perché ritiene che stia sostenendo la sua causa. Gli attivisti hanno fatto festa il giorno dell’elezione di Trump a novembre 2016.

Ma the Donald è anche capace di rompere con un solo gesto delle relazioni tessute da altri nell’ombra o di mettere in discussione nel giro di poche ore, promesse e impegni assunti mesi prima.

E’ questo il caso di Gerusalemme e di come in un batter d’occhio il presidente Usa si sia tirato dietro la diffidenza di gran parte del mondo islamico africano, e anche dell’Unione Africana stessa, che tutto sommato fino a quel momento non lo aveva mai criticato apertamente.

L’UA si è schierate contro Trump quando ha dichiarato di voler spostare la sede dell’ambasciata americana a Gerusalemme.

Moussa Faki ha espresso «rammarico» e preoccupazione, dicendo che questo non avrebbe fatto altro che «aumentare le tensioni nella regione».

Inoltre Faki ha ribadito la propria solidarietà al popolo palestinese e al suo legittimo diritto ad avere un proprio Stato indipendente, con Gerusalemme est come capitale.

Ma le manifestazioni di dissenso nei confronti dell’azzardata e provocatoria mossa americana non si fermano qui.

Secondo quando riportato dall’agenzia di stampa governativa turca Anadolu Agency il South Africa’s Muslim Judicial Council (MJC) ha scritto che «non è compito degli Stati Uniti né di altri governi o popoli decidere quale città debba essere la capitale di un Paese», ha scritto il Presidente del Consiglio Giuridico islamico in Africa, Shaykh Irafaan Abrahams.

Spostando la sede dell’ambasciata a Gerusalemme, «gli Usa si faranno complici dell’annessione illegale di Gerusalemme da parte di Israele e distruggeranno ogni chance di uno Stato palestinese pacifico e possibile con Gerusalemme est come capitale», scrive Irafaan Abrahams.

«Chiediamo alle Nazioni Unite di proteggere urgentemente i diritti del popolo palestinese come stabilito nelle risoluzioni internazionali», ha aggiunto.

Anche il Mozambico ha alzato i toni: il rappresentante islamico del Paese, lo sceicco Ameen Uddin ha condannato la decisione di Trump dicendo: «temiamo che possa causare maggiori conflitti e creare più estremismi nella regione».

Anche il Sudafrica ha detto un secco no alla scelta di Trump per Gerusalemme, mentre altri Stati africani seguiranno forse la scia americana.

In particolare il sito di i24NEWS scrive che in Ghana e Tanzania i parlamentari che schierati con Israele sostengono la politica americana in Terra Santa.