Il primo incontro tra i leader africani e lo “zar” russo, Vladimir Putin, a Sochi il 23 ottobre scorso, ha aperto un nuovo capitolo nelle relazioni commerciali e militari tra i due blocchi. Si apre la strada di una pericolosa collaborazione in campo bellico, dove Mosca fornisce le armi e l’Africa apre le porte per l’avanzata russa.

Carri-armati, elicotteri mimetici e jet da guerra. Accompagnati da altri ospiti attesissimi: lancia-granate e kalashnikov di ultimo grido.

E’ così che Foreign Policy, in un lungo reportage descrittivo racconta il primo summit commerciale Russia-Africa, tenutosi a Sochi il 23 e 24 ottobre scorsi. Eloquente fin dal titolo (“Putin ha perso il suo gioco prima ancora d’esser partito”) il magazine spiega che il presidente russo a Sochi ha tentato essenzialmente di vendere armi agli africani. In cambio di cosa?

Della firma di vari memorandum of understanding (fuori dal gergo, intese e promesse di accordi) per una futura collaborazione commerciale.

Il che significa: maggior influenza russa sul territorio, presenza di basi militari e accesso alle fonti di gas e petrolio, accordi sul nucleare. Ce n’è abbastanza per gridare allo scandalo e innalzare il livello di guardia. Ma in Europa nessuno sembra essersi turbato più di tanto.

«“Sono ottimi, mi piacciono”, dice un uomo originario del Sudafrica giocando con la nuova linea di kalashnikov presentata da Putin», scrive Foreign Policy. Ma il giornale sostiene anche (versione non condivisa da altri media internazionali) che i leader africani non hanno abboccato all’amo.

Poiché lontani culturalmente dalla grande madre Russia, e non particolarmente legati al suo presidente-manager.

Non tutti, almeno. Come il Sudafrica, che è tra i più sviluppati ma poco permeabile a Mosca e pare non avere siglato accordi sul nucleare. Ad ogni modo a Sochi si è consumato un incontro “pericoloso” tra i principali leader africani (una quarantina) e lo “zar” Vladimir, con l’obiettivo più o meno dichiarato di allestire un vero e proprio mercato bellico.

Il tutto confermato da foto, dichiarazioni ai giornalisti e voli simbolici di Tupolev 160 (aerei russi da guerra) verso il Sudafrica. Molto dettagliata è la descrizione che ne fa la Reuters raccontando la storia dell’atterraggio in Sudafrica e titola: “La Russia fa atterrare dei bombardieri nucleari in Africa, mentre Putin ospita i leader del continente”.

«La questione prioritaria è per noi quella della difesa e della sicurezza», avrebbe detto Yoweri Museveni, presidente dell’Uganda durante uno dei meeting bilaterali, secondo quanto scrive il Financial Times.

Il settimanale dei comboniani Nigrizia conferma questa versione scrivendo che «in un unico settore Mosca è sempre stata ben presente nel continente, quello militare, tanto da essere considerata da tempo il maggior fornitore di armi ai Paesi africani e, in qualche caso, anche di licenze di produzione o di assemblaggio. Anche in barba alle risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’Onu, di cui è un membro permanente».

L’esempio più evidente di questo commercio è quello del Sudan, «la cui fiorente industria bellica produce una vasta gamma di armamenti, molti dei quali appunto su licenza russa (altre con licenze cinesi e iraniane)». La stampa africana (dallo Standard Digital ad All Africa) da parte sua descrive bene il meccanismo perverso del debito africano con la Russia, e ricorda i tempi della guerra fredda e della lotta di liberazione contro il colonialismo.

In quegli anni i Paesi africani agganciati al blocco sovietico venivano riforniti di armi e sostegno militare dall’Unione Sovietica, indebitandosi pesantemente. Cancellare i vecchi debiti per attivarne di nuovi sembra oggi la strategia di Putin. Molto critico è il Daily Maverick, giornale d’inchiesta con sede a Johannesburgh in Sudafrica, che titola: “Russia scramble for Africa”, ossia la corsa della Russia per l’Africa. E scrive: «Gli africani non dovrebbero farsi illusioni su chi realmente sia il loro corteggiatore, specialmente quelli che valorizzano le loro istituzioni democratiche e le praticano. Razzismo, omofobia, una società civile costipata, diritti umani limitati, sono tutte caratteristiche della Federazione Russa sotto Putin». E prosegue spiegando che Etiopia e Rwanda «hanno siglato accordi di cooperazione sul nucleare, per portare a 18 i Paesi impegnati nello sviluppo di questa fonte energetica. Il Sudafrica non è tra questi».

Davvero molto presente è il quotidiano francofono Jeune Afrique sulla questione del summit di Sochi. Una decina di articoli tutti dettagliatissimi e drammatici, dove si dà conto del grande business tra i signori della guerra africani e lo zar russo.

In un pezzo dal titolo “Centrafrique: à Sotchi, Faustin-Archange Touadéra demande des armes lourdes à Vladimir Poutine”, il quotidiano francofono svela proprio che il presidente centrafricano ha chiesto al suo omologo russo di «rafforzare l’aiuto militare al Centrafrica, reclamando la consegna di armi “più pesanti”».

Considerato il livello di tensione interna che si vive quotidianamente nella Repubblica Centrafricana, dilaniata da una guerra tra ribelli e governo, l’arrivo di ulteriori armi pesanti sul campo lascia supporre un innalzamento della violenza nel Paese.

Molto esplicito è il quotidiano on line Pass Blue, che copre notizie legate alle Nazioni Unite e che titola “Di petrolio e kalashnikov: al primo Russia-Africa summit, Putin fa il gioco del potere”.

L’Africa di tutto avrebbe bisogno, eccetto che di ulteriori equipaggiamenti militari e benzina sul fuoco della violenza. Mentre tutto ciò che ha da offrire Mosca è esattamente il contrario: un arricchimento dell’arsenale militare africano ad esclusivo vantaggio dei leader più focosi. Per altro le armi non sono gratis: e quindi l’Africa andrà a contrarre nuovi debiti con la Russia.

Debito che ancora oggi grava sulle loro teste. In un pezzo dal titolo “Russia, Africa end the debts” (dai toni incoraggianti rispetto al nuovo corso afro-russo), per il quotidiano News Ghana, l’analista Kester Kenn Klomegah scrive che Mosca ha aperto un nuovo capitolo nelle relazioni con il continente e fa tabula rasa del passato.

Il problema è che questo nuovo corso si basa tutto su una partenship militare. E Putin dice esplicitamente che non farà favoritismi tra un Paese e l’altro dell’Africa poiché è interessato a tutti allo stesso modo: quando si tratta di business non si guarda in faccia a nessuno.

Al di fuori della logica della Guerra Fredda, che invece sposava la causa dei soli Paesi “amici” del comunismo. E così: «Noi non ci alleiamo con uno contro qualcun alto – dice Putin – e ci opponiamo fermamente ad ogni forma di “gioco” geopolitico che coinvolga l’Africa».

Come dire che quando c’è di mezzo il mercato, la geopolitica può andare in cantina.

«La nostra agenda africana è positiva e orientata al futuro – avrebbe detto ancora – Le questioni economiche sono parte integrante e prioritaria delle relazioni russe con i Paesi africani».

Insomma, comunque lo si legga il summit di Sochi appare davvero una pessima notizia per l’Africa, per la sua società civile e per i popoli che meriterebbero di vivere in pace. E lo è anche per il resto del mondo che si dice democratico ma che omette di indignarsi.

Foto: Sergei Chirikov/Pool/Afp