«Nulla di tutto ciò che Ahed Tamimi può aver fatto giustifica la detenzione di una sedicenne. Va scarcerata subito».

La linea difensiva di Amnesty International per la ragazza palestinese in carcere dal 19 dicembre scorso, non ammette repliche. I minorenni non possono essere prigionieri ‘politici’. Punto.

Eppure la Corte militare israeliana di Ofer ha prolungato per quattro volte di seguito la detenzione di Ahed, attivista adolescente, che mangia pane e resistenza da quando è nata.

Non è corretto dire che Ahed è una ribelle: piuttosto lei e la sua famiglia sono dei ‘resilienti’ in Cisgiordania. C’è una bella differenza. Lei, la mamma e la cugina sono state arrestate durante una delle manifestazioni di strada per aver resistito a dei militari.

L’effetto che tutto ciò produce a livello internazionale è ovviamente un boomerang per Israele: Ahed piace.

E’ donna, è giovanissima, non è sola: fa parte di una famiglia che ha una lunga storia di resistenza alle spalle. E presto sarà un’icona della lotta di liberazione. Soprattutto se continueranno a tenerla dietro le sbarre.

Di lei suo padre ha scritto: «Il carcere non è sconosciuto a Ahed. Lo ha sperimentato durante i lunghi periodi di detenzione mia, di mia moglie, dei miei figli maschi. Il suo arresto era solo questione di tempo, una tragedia solo rinviata».

E’ sostenuta, anzi incoraggiata a disobbedire: ecco perché la sua azione non si può reprimere.

Incoraggerà altri ragazzi alla disobbedienza. Il villaggio di Nabi Saleh è con lei e la gente scende in strada.

Non molti giornali hanno scritto che durante quell’ennesimo raid dell’esercito nella Cisgiordania occupata, il cugino di Ahed è stato colpito da un proiettile e ferito. Dopo anni ed anni di attacchi, vessazioni, controlli, limitazioni, la gente palestinese è molto stanca e arrabbiata.

Ahed incarna tutta la rabbia e il senso di frustrazione di un popolo intero.