Hasmaa ha 36 anni e 12 figli. E’ fuggita da Aleppo un giorno d’inverno ed è approdata sulle coste di Lesbo a marzo scorso. Il più piccolo dei suoi bambini ha appena 3 anni, mentre il più grande 21. Dall’isola di Lesbo Hasmaa è giunta a Idomenei e poi finalmente ad Atene. «Qui è stata accolta prima dalle suore di Madre Teresa di Calcutta, e poi in un appartamento di due stanze al centro socio-pastorale Neos Kosmos di Caritas Atene, nell’ambito del programma Gemellaggi Solidali», racconta Chiara Bottazzi, collaboratrice dell’Arca del Mediterraneo ad Atene. Chiara e suo marito Danilo vivono lì con le famiglie di profughi, nell’edificio che ospita 65 persone, 25 delle quali bambini. Chiara ricorda che i bambini di Hasmaa sono traumatizzati dal mare.

Ci vorrà del tempo per superare lo choc di un viaggio che per altri coetanei è purtroppo finito male. «Adesso se vedono il mare tremano». Presto la famiglia di Hasmaa raggiungerà il papà che vive in Germania con uno dei ragazzi. I ricongiungimenti dalla Grecia all’Europa non sono facili. E neanche brevi. Alle volte durano anni.

La storia di Whael, Tamer e George è una di quelle a lieto fine: i tre ragazzi siriani (amici per la pelle, poco più che ventenni), passati dalla Turchia, approdati in Grecia, accolti ad Atene, hanno vissuto per qualche mese nella casa vescovile di padre Joseph Bouzouzi, dell’Ordinariato Cattolico Armeno. Oggi sono finalmente in Spagna. «Siamo partiti con un gommone da Izmir, dalla Turchia – hanno raccontato  -Volevamo raggiungere la Grecia. Ma il gommone è affondato subito dopo esser partiti, a 400 metri dalla riva». Dicono di aver avuto paura, anche loro adesso non amano più il mare.

«Eravamo una quindicina e con noi c’erano anche una donna incinta e un bambino piccolo. Li abbiamo salvati entrambi, non sapevano nuotare, ma il padre del bambino era un tipo rude». I tre ragazzi sono cristiani; prima della guerra collaboravano con i gesuiti siriani del JRS, il Jesuits Refugees Service. Il viaggio dalla Siria alla Turchia è costato un vero tesoro: raccontano di aver speso qualcosa come 20 mila dollari a testa, ai quali si aggiungono i 3 mila e cinquecento del biglietto della nave per la Grecia.  «Dopo che il gommone è affondato ci siamo messi una gran paura», ricordava Whael. «Quella notte che abbiamo passato il confine tra l’Iran e la Turchia c’era tanto ghiaccio e tanta neve. Era buio e sapevo che se la polizia iraniana mi avesse preso sarei finita di nuovo in Afghanistan».

questo invece è il racconto di Hazizie, 28 anni, carnagione chiarissima e hijab verde acqua. Ci spiega della sua fuga dall’Iran e della rinascita in Grecia.

E’ seduta al grande tavolo del Christiana Hotel di Atene, oggi gestito dalla Caritas, che può accogliere fino a 200 profughi. E’ al sicuro col suo bambino di quattro anni che ha sempre pensato ad un gioco o ad una «magia» durante lo strano viaggio che l’ha portato dall’Iran all’Europa. Hazizie è rifugiata due volte: di nazionalità afghana, aveva trovato salvezza in Iran, anni fa.

Le storie di queste famiglie di profughi ad Atene raccontano di viaggi lunghi mesi, di donne fuggite sole con i loro bambini, di speranze e anche di successi inattesi. Come l’approdo greco di Mustafa e Fatima, con la loro figlioletta Isra di appena 20 giorni nata proprio qui, all’Hotel Christiana.Ma «non è il Paese adatto quello per vivere se sei donna e per di più profuga – confessa – quindi ho deciso di andar via». Il viaggio le è costato mille dollari. Ed è andato bene. Ora aspetta l’asilo politico per poter poi raggiungere un fratello di Svizzera.

«Veniamo da una zona martoriata della Siria – racconta Mustafa, trentenne – quando mia moglie è rimasta incinta abbiamo deciso di scappare: casa nostra è stata completamente distrutta», dice. E mentre parla ci mostra una foto al telefonino. E’ un mucchio di macerie su un pezzetto di prato col cielo azzurro dietro. Quel che rimane di casa sua. «Siamo sbarcati a Lesbo a marzo 2016 ma lì non si poteva restare a lungo.
Poi dal Pireo siamo approdati ad Atene», racconta.Marzo 2016 è una data storica: in quei giorni l’Europa decideva di chiudere le frontiere a nord-est, e poi di accordarsi con la Turchia per il ‘refoulement’ dei profughi, misura in realtà vietata dal diritto internazionale.
«Appena arrivati ci hanno detto che i confini erano chiusi». Una trappola che oggi tiene ferme oltre 57mila persone in Grecia. «Sarebbero stati semplici transitanti prima della chiusura dei confini – spiega Caritas – nessuno ha voglia di passare mesi in Grecia. Le loro mete sono altre: Germania, Svezia, Svizzera».
A pochi giorni dal parto, Fatima era sola con suo marito ad Atene e senza possibilità di lasciare il paese. «Aver trovato Caritas è stata per noi una vera fortuna, ringraziamo ogni giorno». Qui all’hotel è nata Isra. «Ora la scelta sta all’Europa se ascoltare o meno le tante voci che gridano nel deserto greco; – denuncia Caritas in un dossier appena pubblicato – certamente dare ascolto è il primo passo per l’Unione europea verso un cammino di liberazione che la porti lontano dalla “globalizzazione dell’indifferenza”. Una strada pericolosa quest’ultima, per chi, da tempo ha smarrito la retta via». (La foto, scattata al Christiana Hotel di Atene è di Francesco Carloni)