Ha fatto infuriare parecchio, gli attivisti pacifisti tedeschi, la notizia che la Germania sull’export di armi ci va giù pesante. In barba al momento storico.

Nonostante l’impegno (preso sulla carta) a ridurne l’export, Berlino l’anno scorso ha quasi raddoppiato le entrate derivanti dalla vendita di pistole, munizioni, fucili & company.

E i maggiori importatori si chiamano Qatar e Arabia Saudita.

Da qui l’equazione che, facilmente, le armi targate Heckler & Kock possano esser finite nelle mani dell’Isis. Secondo un rapporto di 180 pagine pubblicato dal Ministero dell’economia tedesco, nel 2015 il fatturato è praticamente raddoppiato rispetto all’anno precedente.

Le quantità di esportazioni approvate avrebbero fruttato 8,76 miliardi di dollari (circa 7,86 miliardi di dollari), contro i 3,97 miliardi di euro dell’anno precedente.

Tra gli accordi stipulati c’è quello per 1,66 miliardi di dollari per i carriarmati Leopard destinati al Qatar.

Dal 2013 ad oggi, la politica tedesca nei confronti dei Paesi con i quali fare business di armi, non è cambiata di una virgola: l’esplosione della polveriera mediorientale non ha dissuaso Berlino dal far affari con gli emiri e con i despoti, che a loro volta finanziano il terrorismo di matrice jihadista.

Il ministro dell’economia di Berlino si giustifica argomentando che questi impegni sono stati già presi da tempo e risultano irreversibili. Ma un attivista dei diritti umani come Jurgen Grasslin è convinto del contrario.

Le armi tedesche vengono prodotte per lo più ad Oberndorf. Un villaggio fiabesco: case dai tetti in legno spioventi che d’inverno si riempiono di neve, mercatini di Natale e fiere, chilometri e chilometri di abeti affondati nella foresta nera.

Qui sorge la sede di una delle fabbriche d’armi leggere più potenti (e pesanti) degli ultimi anni: la Heckler & Kock, che rifornisce l’esercito tedesco ed esporta anche fuori dai confini europei.

E’ luogo di produzione mondiale di pistole, fucili e mitra dai nomi in codice ed etichette alfa-numeriche, che arrivano in Arabia Saudita, Egitto, Indonesia, Brasile.

Nella Germania del cancelliere Merkel, la H&K funziona eccome: rende parecchio e dà lavoro a centinaia di persone.

Il fucile automatico G3 prodotto dalla H&K è stato usato, ad esempio, nella guerra civile in Sierra Leone, a suo tempo. Ora la fabbrica è alle prese con una nuova generazione dello stesso rifle: il G36, che pesa solo 3 chili e mezzo e naturalmente va a ruba.

«Proprio perché è estremamente leggero – denuncia Antje Weber della ong tedesca Kindernothilfe – questo fucile automatico è particolarmente adatto ai bambini soldato». E allora, via libera alla produzione, che in Germania serve come il pane.

«Siamo onesti – dichiarava poco tempo fa al Guardian un sindacalista, ingegnere della H&K negli anni Settanta – Si tratta di lavoro per i tedeschi e la Oberndorf ha una lunga e storica tradizione nella produzione di armi».

D’altro canto la stessa azienda, incalzata dai giornalisti dichiara di produrre per i Paesi del blocco Nato.

Andrew Feinstein, esperto internazionale di armi e autore del libro “Il Mondo ombra: dentro il commercio globale di armi”, denunciava al quotidiano Deutsche Welle, che l’azienda tedesca impiega appena 700 persone  ma è la fabbrica più mortifera d’Europa. I fucili della H&k secondo le stime, uccidono circa cento persone al giorno e la Germania nel solo 2012 ha esportato qualcosa come 66mila armi leggere. Il G3 della Heckler & Koch, con tutte le sue varianti, è il fucile più diffuso al mondo dopo l’Ak-47 russo, l’imbattibile Kalashnikov.

Eppure la Germania ha fatto di tutto in passato per spingere le Nazioni Unite a limitare il flusso di armi leggere dirette nei Paesi in guerra.

Il Sipri di Stoccolma (Istituto internazionale di ricerca per la pace) rileva che tra i maggiori importatori ci sono i Paesi africani e tra questi i primi in classifica sono l’Algeria – il volume si è incrementato del 277% tra 2008 e 2012 e il suo primo esportatore è la Russia – e Marocco, i cui volumi addirittura sono cresciuti nello stesso periodo del 1460%. In Africa subshariana invece al top degli acquirenti troviamo Uganda e Sudan, che si rifornisce direttamente da Russia, Ucraina e Bielorussia.

Armi tedesche fuori dalla Nato

Il Sipri nel suo ultimo report, indica che la Germania non solo svetta tra i top five mondiali esportatori di armi, ma si aggiudica addirittura il terzo posto, subito dopo Stati Uniti e l’incorreggibile Russia, e prima della Francia. Armi dirette dove?

Il Medio Oriente ha ricevuto il 14% dell’export di armi tedesche tra 2008 e 2012. In particolare vanno in Arabia Saudita, Qatar e Algeria.

Le armi della H&K, che sorge su una collina nascosta dagli abeti del bosco della Schwarzwald, quindi non arrivano solo ai Paesi del blocco Nato. Gli M16 e le armi leggere giungono con facilità in Medio Oriente e i Leopard 2 – carrarmati di seconda generazione prodotti da altre due notevoli multinazionali tedesche, la Rheinmetall e la Wegmann arrivano in Arabia Saudita.

 Eppure in linea di principio la legge proibisce di esportare armi in Paesi che non siano quelli della Nato, oppure “Nato equivalent”.

Da qui l’ambiguità tedesca: Il Consiglio di Sicurezza federale può approvare eccezioni alla regola dell’export ai Paesi Nato quando subentrino forti motivazioni di politica estera, a patto che non violino i diritti umani.

Nell’ultimo biennio la Germania ha venduto il 42% dei suoi armamenti fuori dall’area Nato (nel 2010 erano il 29%), concentrandoli per lo più in Medio Oriente e Nord Africa. Sta di fatto che, di eccezione in eccezione, denuncia l’Economist, la Rheinmetall ha in programma un 50% di esportazioni fuori dai confini europei entro il 2015.