Mama Luisa, 82 anni, ha sempre vissuto con marito e figli indisturbata nella campagna di Malema, nel nord est del Mozambico.

Dove la machamba coltivata a fatica, si alterna a fitti tratti di savana boscosa fatta anche di baobab e cajueiro (alberi di castagno).

Un giorno di quattro anni fa suo marito muore e le lascia la casa. Ma nel frattempo, nel 2013 arriva anche la MOZACO, Mozambique Agricoltural Corporation che inizia a coltivare la soia.

 “Il punto -ci spiega il leader della comunità che ci accompagna  – é che la MOZACO usa pesticidi e concimi chimici e questa donna li respira ogni giorno assieme a figli e nipoti”.

Gli imprenditori (brasiliani, portoghese, norvegesi, mozambicani) occupano centinaia di ettari di terreno ignorando il fatto che ci sia già chi li coltiva e di fatto inquinando tutto quello che circonda le loro aziende. Il tour sulle tracce dei land grabbers è guidato da suor Rita Zaninelli, comboniana, di Giustizia e Pace, che da anni si occupa del fenomeno. Con noi viaggia Assani, giovane giurista di Giustizia e Pace.

La MOZACO è del gruppo Joao Ferreira Dos Santos, in joint venture con la Rioforte Investment. Piantagioni invadenti su oltre 2mila ettari, che si espandono a vista d’occhio (il progetto è arrivare a 20mila ettari) in aree considerate a torto abbandonate. O scarsamente popolate.

 Il caso della signora Luisa resta aperto e si va ad aggiungere alle altre decine di casi di contadini privati della loro libertà.

In nome di uno sviluppo – sostenuto dal governo, dalla Cooperazione internazionale (nello specifico brasiliana e giapponese, nel caso del Progetto PROSAVA) e dalla Banca Mondiale – che hanno adottato una strategia a favore delle grandi produzioni agricole a discapito di quelle tradizionali. (continua)