Tra i varchi dei palazzi color mattone di viale della Primavera (lunga arteria sulla Casalina dopo Tor Pignattara) si intravede il tendone a strisce rosse e bianche del circo appena arrivato: è il Rony Roller. Siamo a Centocelle, i cui abitanti (molte le famiglie di immigrati che amano il circo più dei romani) sembrano apprezzare la novità.
Per il debutto pomeridiano il botteghino del Rony stacca quasi 500 biglietti. Il quartiere si rianima e qualche volta socializza con gli artisti. Che in ogni caso fanno una vita a se stante come una grande famiglia o una piccola comunità.
«E’ come se vivessimo tutti nello stesso palazzo, ognuno con la sua privacy e il proprio appartamento – prova a spiegare Daniela Vassallo, ex contorsionista e portavoce della famiglia del Rony – ma si lavora tutti nell’androne: si sta insieme pur mantenendo l’indipendenza. Si bussa alle roulotte prima di entrare, ma in fondo la vita è comunitaria. Ieri, per dire, la mia cagnolina chiwawa è stata male, sono accorsi tutti. Siamo andati al veterinario e ci siamo rimasti fino alle due di notte».
Quando la carovana approda in una zona della città e le maestranze cominciano a montare i tendoni e a scaricare gli animali, tutt’attorno si crea l’attesa e una curiosità anche morbosa.
A Centocelle poi, zona di Roma molto periferica e poco servita dai mezzi pubblici, la novità è totale. I bambini fanno capolino tra i tendoni e sbirciano nelle gabbie dei cammelli che brucano e dei leoni imperterriti.
«Qui erano ormai anni che non arrivava uno spettacolo circense – ci spiega ancora Daniela – Noi abbiamo individuato l’area e chiesto la concessione ai privati per portare le roulotte, montare il tendone, usufruire del suolo». Un’intera carovana che si sposta di città in città e che a Roma, più che altrove trova diversi ostacoli di natura burocratica. Vedremo perché.
Eppure gli artisti del circo non si rassegnano e puntano molto sulla capitale: a marzo Roma ha ospitato quello di Lidia Togni che ha montato il tendone all’Infernetto, tra Ostia e la via del mare, il Circuba all’Eur e il Rony Roller nella zona di Roma est.
Un censimento completo sugli artisti che ruotano attorno alle grandi famiglie del circo non c’è: ma da alcune fonti come il Circus Fans Italia (il portale del circo italiano) apprendiamo che oltre a quelle note, ce ne sono ancora attive in Italia una cinquantina dai Bizzarro ai Turci, dalla famiglia di Marcello Dell’Acqua con il circo acquatico, ai fratelli Minetti. Alcuni hanno preso la via dell’estero, dove l’arte circense è ancora molto stimata e hanno cambiato nome. Alle famiglie si aggregano di volta in volta le compagnie.
Ma uno dei fenomeni più interessanti e poco indagati è quello relativo alla manovalanza straniera: decine di attrezzisti, operai e inservienti dei circhi vengono dall’Europa dell’est, dalla Romania all’Ungheria, e sempre più spesso anche dall’India.
Sebbene il circo sia di proprietà di italiani da generazioni, come nel caso degli Orfei, dei Togni o dei Vassallo, le troupe (artisti, attrezzisti e famiglie a carico) sono un mix formidabile di nazionalità, lingue e religioni diverse.
Conosciamo Kirpal Singh, da tutti chiamato ‘Barba’, l’attrezzista indiano che lavora da cinque anni al Rony Roller. Indossa un turbante nero come gli altri lavoratori sikh. Ha uno sguardo illuminato e calmo, un viso e movenze da guru anziano. Eppure è nato solo nel 1981. Ci mostra ripetutamente le foto della moglie e dei due figli rimasti in India, che non vede da due anni.
«Mio figlio si preoccupa per me: quando ci sentiamo via skype mi dice di andare a dormire presto e di non lavorare troppo. E’ piccolo ma ha così tanti pensieri in testa».
Singh lavora sodo al circo: assieme agli altri attrezzisti indiani è lui che monta e rismonta le attrezzature, che dà da mangiare agli animali, che controlla le gabbie e le pulisce.
«Ognuno qui dentro ha una responsabilità e un compito» ribadiscono gli artisti. E anche Kirpal Singh da quando sta con il Rony non si ferma un attimo.
«Questo lavoro qui è meglio di quello di bracciante che facevo prima a Terracina – dice – Qui siamo tutti fratelli e sorelle. Io lavoro e prego, per me la religione è tutto: se non preghi Dio che vivi a fare? Noi uomini non siamo solo fatti per mangiare e lavorare. Io prego ogni volta che posso, non ci sono orari stabiliti. Quando sono libero prego».
Kirpal singh dice che non potrebbe trattare male nessuno perché in ogni uomo c’è Dio: “se io grido contro di te, grido contro Dio, perché Dio è dentro di te”. Semplice. Il principio del rispetto. «E’ dal 2012 che lavoro con questo circo. Io faccio qualsiasi tipo di lavoro, anche la cura degli animali. I leoni non mi fanno paura».
«Inizialmente non volevo andare con ilcirco, ma un mio amico mi ha chiamato e mi ha detto: quando vuoi te ne puoi andare. E allora ho iniziato. Questa adesso non è solo la sorella di Rony è anche sorella mia», dice indicando Daniela.
«La legge di Dio – insiste Kirpal – è una. E Dio è uno, solo che ha tanti nomi: noi lo chiamiamo in tanti modi diversi, ma sempre Dio è. Come me: io sono sempre uno. Alcuni mi chiamano Barba, altri sikh, altri Kirpal Singh o indiano. Ma io sempre lo stesso sono».
Lo vediamo indaffaratissimo con la preparazione degli animali che entreranno in scena: quando è il momento del domatore di leoni, Rony, il compito di Kirpal singh è quello di aprire la gabbia e spingere gli animali lungo il corridoio di rete protetta che li condurrà direttamente in pista.
«Mi chiedono come facciamo ad andare d’accordo tra di noi e come fanno a convivere le diverse religioni – dice Daniela – Io non ci avevo mai pensato: spesso in tournè ci ritroviamo tra cattolici, sikh e musulmani. Semplicemente: ci rispettiamo. Se ad esempio i musulmani attrezzisti, che fanno vari lavori pesanti, sono in periodo di Ramadan evitiamo di coinvolgerli in attività troppo stancanti».
In questo momento gli artisti al Rony sono tutti italiani, o meglio italianizzati.
«La ragazza che vedete in scena adesso, ha la nonna paterna portoghese e il padre ungherese. Il clown che fa il finto inserviente di pista invece è italiano e viene da un’antica famiglia di circensi».
Quando chiediamo agli intervistati perché Roma capitale da almeno cinque anni ha smesso di incentivare il circo, le risposte convergono sulla questione della presenza degli animali in carovana.
Sta in quell’aggettivo che lo definisce – equestre – il problema del circo tradizionale e la diatriba che da qualche anno è sorta tra il legislatore e i circensi.
Il circo con gli animali è terreno scivolosissimo per i circensi e querelle decennale per gli animalisti. Sta di fatto che lentamente Roma allontana le famiglie dalle aree centrali poiché non concede più al circo con gli animali le agevolazioni previste per legge e relative alla concessione del suolo pubblico.
Tant’è che, dicono i protagonisti, «il comune di Roma non rispetta la legge», come afferma Alberto Vassallo. E la pensa più o meno allo stesso modo il presidente dell’Ente nazionale circo, Antonio Buccioni. Ma è proprio così?
La legge in questione è la 337 del 18 marzo del 1968 che introduce «disposizioni sui circhi equestri e sullo spettacolo viaggiante”. All’articolo 1 la legge stabilisce che “Lo Stato riconosce la funzione sociale dei circhi equestri e dello spettacolo viaggiante. Pertanto sostiene il consolidamento e lo sviluppo del settore”.
«La legge è nata per tutelare questa forma di spettacolo – spiega Buccioni – Stabilisce che ogni comune deve garantire almeno un’area per gli spettacoli viaggianti e quasi tutti i comuni italiani in realtà ce l’hanno. Roma invece non concede più le aree pubbliche e il circo deve rivolgersi sempre di più ai privati».
Come se volesse scoraggiarne l’arrivo. In Italia l’Ente Nazionale Circo conta all’attivo 43 circhi tradizionali ma da alcuni anni a questa parte si sono affiancati a questi i cosiddetti circhi contemporanei, che registrano per ora un’ottantina di compagnie per 280 artisti, in base ai dati del Censimento circo Italia a cura di Filippo Malerba e Gaia Vimercati. (conitnua)