Mentre i fari dell’Europa sono puntati sui migranti e le navi salva-vita, lo spettro dell’Austerity torna a farsi sentire a Bruxelles. Ammesso che abbia mai lasciato il campo.

Due donne (di ferro) sono state nominate ai vertici delle principali istituzioni (finanziarie e non) dell’Unione. E si è tornato a parlare con orrore di rigore e conti pubblici.

Si tratta della ministra tedesca della Difesa Ursula von der Leyen (Ppe) che guiderà la Commissione europea e della direttrice del Fondo monetario internazionale Christine Lagarde, che prende il timone della Bce.

Come sarà la futura politica economica dell’Unione e che ne è dell’austerity mai rivisitata nei trattati, ma molto condannata a parole? (Da ultimo pure Junker ha fatto mea culpa).

Che presidente di Commissione sarà la Von der Leyen e come modulerà la Lagarde il necessario rigore con le critiche all’austerità?  

Queste le domande degli analisti.

Ma ripercorriamo le tappe della marcia indietro sull’austerity, per capire come e perchè un rigido rigore sui conti pubblici, come quello degli ultimi dieci anni, è stato un disastro.

Eppure nessuno ha ancora messo mano alla revisione delle regole. La Lagarde si dovrà barcamenare come il suo predecessore, tra la necessità di applicare il rigore e la lotta alla povertà che va in direzione opposta.

Ma facciamo un passo indietro.

I primi ad essersi resi conto del fallimento della mannaia, sono stati proprio coloro che l’avevano inventata: ricercatori universitari, Fondo monetario internazionale, Banca centrale europea, economisti “pentiti”.

Christine Lagarde aveva dovuto ammettere gli errori del Fmi sulla Grecia legati alla sottostima degli effetti dell’austerity, così come gli esperti del Fmi nel 2013 fanno mea culpa.

Il Nobel Paul Krugman aveva smentito nel 2013 due ricercatori italiani sostenitori del rigore ad ogni costo (i bocconiani Alesina e Ardagna) e un ricercatore di 28 anni, laureato in economia nel Massachusetts, aveva scovato errori di calcolo madornali in uno degli studi “cardine” per  l’applicazione dell’austerity in Europa. 

Il famoso studio  di Harvard del 2010 fissava i principi dei paletti sul debito e sul deficit.

Diceva che un alto debito pubblico rallenta la crescita economica e quando il rapporto tra debito e Pil sale oltre la soglia del 90%, i Paesi in media decrescono dello 0,1%. Sostanzialmente bisogna avere debiti pubblici bassi, decisamente sotto la soglia, superata la quale l’economia entra in crisi e non c’è più sostenibilità. Di qui l’imposizione di tagli alla spesa pubblica ritenuti una necessità senza deroghe.

Eppure Thomas Herndon, ricercatore all’Università del Massachusetts-Amherst, ha finito per ribaltare completamente le conclusioni di Reinhart e Rogoff. Il 28enne ha solo fatto appello alla matematica: si è concentrato sugli errori statistici e sulle inesattezze di calcolo contenute nell’influente paper di Harvard.

Questi paletti economici – ripresi dal Fmi ed applicati con rigore dall’Ue – considerati percentuali “limite” oltre le quali un Paese non deve assolutamente andare, sono eccessivi, concludeva lo studente.

Il lavoro di Herndon (e dei suoi due professori di economia: Michael Ash e Robert Pollin), pubblicato il 17 aprile 2013, diceva che i risultati non coincidono con la tesi iniziale. I dati di Harvard sono stati selezionati male: contengono “omissioni selettive”.

Il principale e il più banale errore di calcolo compare in un foglio Excel ed è relativo al tasso di crescita medio. Herndon individua un refuso di “trascrizione” nella crescita media del Pil spagnolo: in una delle tavole di Reinhart e Rogoff, questa è stata fissata al 2,8% anziché al 2,2%.

Insomma Herndon ‘il revisore’ concludeva che seppure il rapporto tra debito pubblico e Pil fosse superiore al 90%, la situazione dei conti pubblici non cambierebbe così tanto. Il che significa che un livello di tolleranza maggiore da parte delle istituzioni europee nei confronti dei più indebitati non sarebbe la fine del mondo.

I “revisionisti” del rigore precisano che i debiti pubblici vanno comunque tenuti sotto controllo: anche chi contesta l’austerity non vuole con ciò dire che gli Stati membri debbano far crescere a dismisura i loro debiti nei confronti di banche, privati e governi. Ma solo che il taglio netto della spesa, operato con criteri da mannaia, non è una soluzione.

«Da un punto di vista strettamente economico è del tutto normale voler ridurre prima il proprio indebitamento, per poi lanciare delle riforme per ottenere una crescita solida. Il problema è che di fatto questa strategia non funziona», scriveva lo Suddeutsche Zeitung.

Perché? I 28 Stati membri non rappresentano un’entità monolitica e partono da condizioni (sociali, politiche ed economiche) troppo diverse per poter soddisfare gli stessi criteri, con tempi e modalità analoghe.

«In materia di politica di bilancio i responsabili economici sono per l’unità monolitica – proseguiva il giornale tedesco -. Tutti i Paesi membri, in particolare quelli dell’euro, devono soddisfare esattamente le stesse condizioni. Poco importa se le tradizioni economiche europee sono molto diverse tra di loro».

Quest’approccio ha già mostrato limiti enormi:il Portogallo, la Spagna, la Grecia e l’Irlanda hanno adottato vasti programmi di tagli ma i debiti anziché diminuire sono esplosi. E uscirne è stata dura. (Amemsso che siano fuori dal tunell)

Lo stesso Jacques Delors (uno dei padri fondatori dell’Europa), intervistato dal Daily Telegraph nel 2011, sostenne che la crisi attuale deriva da “errori” compiuti dai leader che negoziarono la creazione dell’euro più di un decennio fa decidendo di “chiudere gli occhi” sulle debolezze strutturali di alcuni Stati.

 Nel documento dal titolo Greece: ex Post Evaluation of exceptional access under the 2010 stand-by arrangement”, il Fmi diceva: «Non c’è una chiara suddivisione dei compiti» tra le tre componenti.

La Commissione europea, è l’altra accusa, non è stata abbastanza efficace nel pretendere, nel corso degli anni, la realizzazione delle riforme strutturali necessarie, ben prima che Atene arrivasse al collasso. E quando ha scelto il salvataggio ha dovuto farlo chiedendo tagli alla spesa mal distribuiti.

Il report di 50 pagine del Fmi dice che l’istituto finanziario ha capito, dopo averlo però convalidato, che il tipo di salvataggio dell’ultima ora imposto alla Grecia non funzionava perché troppo oneroso e non puntava alla crescita di lungo periodo.

Inoltre il salvataggio salva la finanza non le persone. I tagli inducono l’economia in una spirale recessiva molto più ampia di quella immaginata.

L’economista Paul de Grauwe della London School of Economics è stato altrettanto critico nel esplicitamente: «La troika è un errore enorme sia dal punto di vista della forma che del contenuto. Il dramma è che uccidere la troika non è la soluzione, perché i fondamentalisti dell’austerity sono ben radicati nel terreno delle istituzioni europee».

L’economista americano Paul Krugman ha sostenuto che «il programma di austerità rispecchia da vicino la posizione dei ceti abbienti, ammantata di rigore accademico. Ciò che il più ricco un per cento della popolazione desidera diventa ciò che la scienza economica ci dice che dobbiamo fare».

Per rafforzare le sue tesi il Premio Nobel Krugman ha messo in relazione i tagli alla spesa pubblica e l’andamento dell’economia: più sono profondi i primi, più affonda il Paese, come nel caso greco.

 Come se tutto ciò non bastasse, l’Osservatorio sociale europeo (Ose) aveva presentato nel 2013 uno studio sullo stato sociale dell’Unione: l’austerità è il problema, non la soluzione.

E  richiamava l’attenzione sull’importanza di due riforme istituzionali: quella del Patto di stabilità e crescita e quella della Banca centrale europea.

 Il passo successivo sarebbe stato quello di riformare lo statuto della Banca centrale europea, aggiungendo all’obiettivo del controllo dell’inflazione quello del supporto alla crescita e all’occupazione e di prestatore di ultima istanza. Ma non è avvenuto.

«L’austerity, cioè i risparmi forzati del settore pubblico, quando si espandono di default, diventano una politica restrittiva pro-ciclica. Non meglio, anzi peggio, di una spesa pubblica impazzita».

Che cosa è successo in questi ultimi sei anni? Come sono state raccolte queste critiche? A fronte degli svariati mea culpa si è fatto tesoro degli errori?

Che riforme sono state adottate per invertire la rotta, calmierare l’austerità, blindare la Troika, rivedere i tagli alla spesa pubblica, riscrivere i Trattati?

Nessuna.

Gli Stati hanno rafforzato il sovranismo facendo un ostruzionismo in solitaria all’applicazione dei paletti sul debito. Come scolaretti ribelli si limitano a rimandare le scadenze, prendere tempo, opporsi a parole alla Commissione.

A fronte di tutto questo, chiedersi che Presidente di Commissione sarà la conservatrice tedesca, e come si muoverà la Lagarde bacchettona suona davvero stonato. Se le regole nono sono cambiate se non in peggio, conta molto poco chi sarà al timone.