La musica elettronica mixata dai dj più creativi. Il ballo senza freni. Le dune del deserto tunisino a far da sfondo. Incredibile spettacolo: folle di ragazzi e ragazzini (oltre 8mila persone in tre giorni), affascinati dai mixaggi di Seiffedine Manai e Deena Abdelwahed, approdati in pieno inverno nel deserto di Nefta, 400 km da Tunisi. Per il decimo festival di Dune Electronique. Lontano dalla città affollata. Dalla politica che fa il suo corso. Dagli occhi del mondo sempre puntati sull’emergenza e mai sulla resilienza.

Uno di questi dj è Deena. Venticinque anni, studente d’architettura, cresciuta in Qatar e tornata cinque anni fa a Tunisi. Dove tiene tranquillamente testa ai dj canadesi.

Jeune Afrique parla di lei. Le Monde parla di lei. (La DJ qui fait danser la Tunisie scrive)

I mix di Deena Abdelwahed innovano dando quel tocco di sperimentazione all’elettronica.

Al quotidiano parigino il 22 febbraio scorso la dj spiegava che le Dune è sfogo necessario: «La musica elettronica ha molto successo qui, perché è un pretesto per liberarsi e lasciar andare le frustrazioni del post-rivoluzione».

Tutto questo però accadeva quasi due mesi fa.

Meno di un mese prima dell’attentato terroristico al museo del Bardo. Ed esattamente 32 giorni prima del World Social Forum di Tunisi. I tre eventi visti in sequenza danno la misura di quanto la Tunisia sia in evoluzione. Colpita ma per niente scoraggiata. E’ più giovane e più moderna di quanto si immagini. A febbraio 8mila tunisini si ritrovano a far festa sulle dune del deserto giallo, e a sognare un paese più risolto di quello che vivono al momento. Complesso, eppure libero.

Il 18 marzo la doccia fredda: un attentato spietato colpisce al cuore il turismo, la vita e la libertà ritrovata con la rivoluzione. Prende di mira un gruppo di turisti europei in fila al museo.

Muoiono 4 italiani, 3 giapponesi, 4 francesi, tre polacchi, tre tunisini, due spagnoli, due colombiani, un britannico, un belga e un russo. L’immagine della Tunisia vacilla. I tour operator mettono una pietra tombale sulla stagione turistica imminente. L’Europa è sotto choc. La Tunisia considerata off-limits, quasi al pari dell’Africa nera dove imperversano i Boko Haram.

Poi una nuova rinascita: l’appuntamento annuale del World Social Forum. Che non fallisce, tutt’altro.

I 50mila partecipanti previsti arrivano ugualmente. Ed è un successo. Perché si scongiura la quarantena della Tunisia prima che questa abbia il tempo di sedimentare. Al Forum si ritrovano 4390 associazioni da tutto il mondo. Si leggono nomi di attivisti, sindacalisti, associazioni culturali, di volontariato; centri di ricerca, movimenti per i diritti umani, studenteschi, politici. Di ogni tipo. Vengono da 150 paesi: dentro c’è pure una delegazione del Togo dei Jeunes Volontaires pour l’Environnement.

E’ il giusto antidoto ad una strategia destabilizzante dell’unico paese nordafricano dove la rivoluzione si è compiuta: è stata non solo efficace ma sufficientemente matura da produrre cambiamenti radicali.

Ho chiesto un commento a Chiara Sebastiani, docente di Teoria della Sfera pubblica e politiche locali e urbane all’università di Bologna (lei la Tunisia la frequenta e la conosce veramente a fondo).

La studiosa dice che il miracolo del “compromesso storico” tunisino, raggiunto in politica, disturba più di un gruppo d’interesse. Fuori e dentro la Tunisia.

Islamisti e laicisti al governo: era una scommessa mica tanto scontata questa. Eppure la Tunisia del ‘laico’ Habib Essid ce l’ha fatta.

«Quella del Bardo è una destabilizzazione che con alta probabilità viene dall’esterno – spiega la Sebastiani – Gli attentatori hanno usato manovalanza interna, forse frange dei gruppi salafisti di Ansar – Al Sharia, ma i mandanti ho più di un motivo per ritenere che venissero da fuori». Da dove?

bardo museum

Dalla Libia. L’ipotesi è che alcuni gruppi in Libia temano «un effetto contaminazione». Al momento il generale golpista anti-islamista Haftar tiene le redini della situazione libica.

Chiara Sebastiani spiega che «il tipo di bersaglio al Bardo fa pensare che sia il contagio del modello tunisino il vero problema». Ossia il timore che un compromesso tra laici ed islamici possa allettare politicamente anche altri paesi. Ed annullare l’assolutismo di certi governi.

La diffusa islamofobia europea asseconda questi timori.

 E’ un dato di fatto però che la società tunisina ha una capacità di reazione immediata di fronte ai tentativi di ‘sabotaggio’.

Il non avere più paura dei tiranni di ogni specie e fattezza salva i tunisini. Prima o poi anche il loro desiderio e la legittima pretesa di svecchiamento politico avrà la meglio.

Allora alle Dune Electronique si ballerà davvero. Ma ogni cosa a suo tempo.

(la foto al museo del Bardo è tratta da Arab Press).