I professori universitari in Turchia sono finiti (e non da poco tempo) nel mirino di Erdogan. Ma anche degli atenei ‘collaborazionisti’.

«Le università, che dovrebbero essere il fulcro della libertà d’espressione, hanno ingaggiato una caccia alle streghe», fedeli al “sultano” di Istanbul che ha fatto arrestare una quindicina di docenti. Scrive così Sinem Arslan, ricercatrice turca dell’Essex University.

Gli atenei di Bahcesehir, Kocaeli, Hacettepe ed altri, stanno infatti stigmatizzando i propri accademici turchi, firmatari della petizione contro la guerra di Erdogan ai curdi nel sud-est del Paese. Molti hanno aperto inchieste interne per isolarli ed eventualmente licenziarli. Lo si legge sui loro stessi siti web, dove i comunicati sono scritti in turco. 

Il senato accademico dell’università di Kocaeli in Anatolia, ad esempio, ha pubblicato un comunicato dove definisce i suoi professori – che tra l’altro fanno parte di una rete chiamata academics for peace – “sostenitori del terrorismo” e ha aperto un’inchiesta.  In compenso parla di «lotta eroica contro il terrorismo da parte delle forze di sicurezza turche per la sopravvivenza della madrepatria».

Così una guerra civile in corso, combattuta con violenza da Erdogan, laddove i civili curdi sottoposti al coprifuoco vivono sotto assedio, passa per essere una lotta in difesa dei valori di libertà. Mentre un nutrito gruppo di professori che si schiera contro la barbarie diventa un pericolo sovversivo.

Lo spiega molto bene (nelle ore in cui il presidente-sultano ha arrestato 15 turchi e vilipeso 1200 docenti internazionali) Sinem Arslan. La ricercatrice curda, anche lei tra i firmatari di quel documento sotto accusa, firmato da Noam Chomsky, dice che la stampa internazionale si è giustamente occupata delle violazioni di Erdogan che hanno fatto notizia. Ma non si è occupata dei risvolti sulla vita quotidiana dei docenti.

Insomma, la cosa grave è che siano gli atenei stessi a collaborare col governo per far fuori i loro professori. In Turchia Erdogan non è affatto solo.

«Le università hanno etichettato come immaginari i nostri argomenti sull’abuso dei diritti umani», scrive Sinem. E hanno iniziato una “caccia alle streghe”.

La ricercatrice scrive che: «in maniera non sorprendente, l’attitudine di Erdogan è stata immediatamente seguita dallo YOK (Consiglio per l’istruzione superiore) che ha deciso di prendere misure adeguate contro gli accademici che sostengono il terrore».

«In quanto firmataria della dichiarazione e come scienziato politico, io credo fermamente che sia il governo stesso ad essere fuori legge e non il gruppo armato (il PKK ndr.)», scrive Sinem.

«I gruppi armati sono illegali per definizione ma i governi prendono legittimazione dalla legge e come cittadini turchi è nostro dovere richiamarli quando c’è una chiara violazione della costituzione».

Sorprendente in Italia è la latitanza dei nostri atenei, molti dei quali tengono in piedi accordi di scambio tra ricercatori e programmi Erasmus con gli studenti turchi, senza preoccuparsi minimamente di quello che accade ai docenti. Le nostre università non hanno preso posizione su questa storia.

L’università di Torino, ad esempio, ha in corso programmi Erasmus con l’Università turca Tayyp Erdogan di Rize, sul Mar Nero. Sorta nel 2006 e dichiaratamente filogovernativa (forse più delle altre, che comunque, come abbiamo visto non sono affatto indipendenti).

Nessun senato accademico italiano ha finora, in maniera esplicita, difeso i docenti turchi sotto attacco, o preso le distanze da Erdogan. Un’università italiana importante, però, stringe accordi accademici con una controparte turca che porta il nome di un despota. Ci sarebbe parecchio da dire.

(nella foto in evidenza un fotomontaggio di Halil Altindere, artista di Istanbul)