L’estate prossima la salsa di pomodoro i ragazzi di Solidaria e del progetto Netzanet la imbottiglieranno in una vecchia masseria di Bari. E i pomodori li compreranno da Nardò, comune pugliese dove l’anno scorso è morto un bracciante, per il caldo e per la fatica.

Questi pomodori qui però sono speciali: non vengono dai terreni controllati dall’agro-business e dai caporali. Sono raccolti da braccianti e contadini  di Diritti a Sud, una Cooperativa sociale che in Puglia fa parte della rete di quelle sottratte all’ingiustizia del caporalato. Che pagano il giusto prezzo per un duro lavoro, riscattando così le terre pugliesi.

Il progetto delle conserve di pomodoro si chiama Netzanet ed è un’idea nata dalla onlus Solidaria.

Chi ha visto decine di giovani italiani e migranti, aiutati da mamme e nonne far le conserve di salsa, in aperta campagna, a luglio scorso, con i pentoloni di rame e le bottiglie di birra riciclate, ha pensato d’esser tornato indietro di cinquant’anni.

E invece era proprio il 2015: assieme ad alcuni ragazzi dell’Eritrea, del Ghana e di altri Paesi africani, sono riusciti a confezionare centinaia di conserve di salsa rossa, comprando i pomodori da chi non sfrutta la manodopera. Il progetto è stato finanziato con il crowdfunding.

«In questi ultimi due anni abbiamo trasformato circa 26 quintali di pomodori: 10 nel 2014, e oltre 16 l’anno dopo – ci spiega Maria Amodeo, 25 anni, studentessa universitaria barese, anche lei socia di Solidaria – La prima volta li abbiamo acquistati da Abdul, giovane migrante che si è sottratto al caporalato e coltiva un pezzo di terra vicino Venosa;  l’altra metà l’abbiamo presa dalle campagne di Giuseppe, laureato in lettere e socio di Solidaria che ha scelto questo lavoro vista l’impossibilità  di fare l’insegnante. Collettivamente decidiamo la retribuzione del lavoro che svolgiamo. La dignità per noi è centrale».

Il prezzo giusto è quello stabilito da chi compra i pomodori non sottocosto.

La grande distribuzione organizzata attraverso l’utilizzo dei caporali paga poche decine di euro al giorno. Il che significa che il lavoro del bracciante normalmente è sottopagato. Nonostante la sveglia alle cinque del mattino, la schiena piegata al sole per dieci ore al giorno, la fatica di raccogliere pomodori nei filari, senza tregua, con la mannaia del tempo e della quantità. «I contadini – che sono sempre più anche italiani – vengono pagati una miseria. Viviamo tutti sotto lo stesso cielo di precarietà», dice Maria.

«I contadini – che sono sempre più anche italiani – vengono pagati una miseria. Viviamo tutti sotto lo stesso cielo di precarietà», dice Maria.

L’idea è quella di inventare un “fuori mercato”, fatto da una rete di persone che dal mercato verrebbero sfruttate. E uccise. Sono i migranti, i precari, i disoccupati, gli studenti senza grandi prospettive davanti.

Nel 2016 l’autoproduzione di salsa cresce ancora e Sfrutta Zero rilancia e sceglie una masseria. «I proprietari fanno parte degli orti sociali. Dovremmo riuscire a produrne 25 quintali per circa 2mila 500 vasetti di salsa. La novità è che andremo avanti anche grazie ad un progetto finanziato dalla Chiesa Valdese», dice.

I pomodori verranno da Nardò dove duemila piantine di pomodoro stanno già crescendo, coltivate con cura, su due terreni che erano incolti e che i proprietari hanno affidato a “Diritti a Sud”.

Quando si è insieme, e in rete, le idee proliferano: per il 2017 i ragazzi di Solidaria vorrebbero prendere in affitto un terreno e mettersi a coltivare la terra assieme ai migranti: «Accedere ad un terreno coltivabile non è facile ma è quello che vogliamo. Noi siamo dei sognatori…», confida Maria. E noi sappiamo che i sogni collettivi si realizzano sempre.

(Per leggere l’articolo per intero pubblicato su Popoli e Missione, clicca qui)