La piazza marocchina scalpita. L’entroterra e la costa povera del Marocco sono in fibrillazione dopo la morte tragica di Mouhcine Fikri.

La storia è quella di un giovane pescivendolo di Al-Hoceima, nel Rif berbero, stritolato dagli ingranaggi di un camion della nettezza urbana mentre cercava di recuperare la sua merce gettata via dalla polizia. Il video della sua morte postato sui social l’ha reso un’icona.

Re Mohammed VI però, sembra molto più preso dal progetto di costruzione di una faraonica città industriale fuori Tangeri, che non dalle tribolazioni dei pescatori poveri. Ha in mente un moderno sul modello della cinese Shenzen, progettato e finanziato assieme alla Cina di Xi Jinping. Panacea a molti mali, compreso il malcontento sociale.

La stampa nordafricana parla di un investimento di 10 miliardi di dollari per costruire un parco industriale chinese way sul Mediterraneo, comprensivo di fabbriche, zone residenziali, torri-appartamento e centri commerciali. 2500 acri di terreno che ospiteranno 300mila marocchini e qualche migliaio di cinesi.

L’accordo è stato annunciato durante il viaggio del re a Pechino a maggio scorso.

La filosofia che c’è dietro è quella della lotta alla povertà modello Xi Jinping, esportato in Nord-Africa.

A realizzare il polo industriale dovrebbe essere il gruppo cinese aeronautico Haite e tra i finanziatori ci sarà anche la Bank of Africa.

Nel frattempo la gente semplice, quella dei villaggi, dei porticcioli e delle piccole cittadine isolate, continua a scendere in piazza e a gridare che il palazzo reale umilia il popolo. «Ascolta palazzo reale, non umilierai più il popolo di Rif!>>: questo si sente gridare in Marocco da un mese a questa parte.

I marocchini chiedono giustizia e parità di trattamento tra ricchi e poveri. Avvertono una distanza abissale tra i privilegiati e gli emarginati. Ma la loro rabbia non è raccolta nè dal re nè tanto meno dall’altro Marocco, quello del business e degli affari. Dei politici e dei potenti.

La morte tragica di Mouchine, sesto di dieci fratelli, punito perché vendeva del pesce spada fuori stagione (nel periodo interdetto alla pesca), ha ricordato al mondo intero l’immolazione di Mohammed Bouazizi in Tunisia. Altrettanto drammatica ma tutto sommato catartica.

In quel caso il ragazzo si era dato fuoco per disperazione e il suo suicidio diede la stura ad un malcontento totale ed epocale.

Stavolta, un uomo giovane è stato ucciso per caparbietà: tentava disperatamente di recuperare la sua mercanzia.

Piacerebbe forse vedere più analogie di quante non ce ne siano tra i due Paesi (Marocco e Tunisia) e i due episodi. Certamente le ingiustizie, le disuguaglianze sociali e gli autoritarismi amorali si somigliano tutti.

Eppure qualche anno è già passato dal fervore di quelle Primavere. I moti rivoluzionari di Tunisia ed Egitto non hanno mai fatto breccia in Marocco. Il malcontento covava sotto la cenere ma non esplodeva.

Re Mohammed VI è stato abile a concedere per legge maggiori aperture costituzionali, più libertà e qualche riforma. E questo ha allentato le tensioni, soprattutto dentro la classe media ed intellettuale.

Oggi il popolo (povero) è tutt’altro che felice in Marocco: vede i “due pesi e due misure” della monarchia e prova rabbia; si sente vittima di un “dispotismo di palazzo”. Ed ha l’impressione che la legge sanzionatoria sia applicata solo contro “gli ultimi”.

E’ un popolo di esclusi, lontano anni luce dall’altro Marocco: quello che vive alla corte del re. E che fa affari con l’occidente e con l’oriente.

Ma difficilmente riuscirà ad insorgere. Gli manca l’altro pezzo di società marocchina. Per un ribaltamento di regime serve quella fortuita, e perciò rara, compresenza di ogni componente sociale che abbia fame di libertà e giustizia allo stesso tempo (Il ‘pane e libertà’ dei tunisini).

Il quotidiano francese Le Point scrive che più che la scarsa libertà, è la disuguaglianze sociale a ferire profondamente il popolo marocchino. E aggiunge che se Rabat dà l’impressione, e non a torto, di godere di un dinamismo economico (l’esempio cinese è emblematico), la disoccupazione nelle periferie urbane esplode ed è già arrivata al 40%.

«Nel Marocco attuale ci sono due classi sociali: quella che governa, composta di politici, banchieri, grandi proprietari terrieri, industriali. I ricchi insomma – dice Mohammed Chtatou, docente all’Università di Rabat – E quella  della gente comune, gli impiegati statali e i poveri. I precari. Quelli che vivono alla giornata. La classe media è scomparsa negli anni ’80 dopo la crisi finanziaria. Faceva da cuscinetto tra i ricchi e i poveri”.

Difficile che gli esclusi, lasciati soli, abbiano oggi la forza, il coraggio e la resistenza (oltre che i numeri) per opporsi davvero al re. Passando dalle proteste all’azione. E’ doveroso però, non dimenticarsi di loro.