La resilienza è anche questo: saper trasformare una ‘purga’ in una vittoria. Non accettare nè diktat, nè censure e trovare canali nuovi e inaspettati per realizzare comunque un progetto valido.

E’ quanto stanno facendo i ragazzi del Piccolo Cinema Americache trovandosi sbarrata la strada per l’arena estiva in piazza San Cosimato a Roma, hanno deciso di spostarsi in periferia.

Non prima d’aver denunciato gli abusi della Giunta capitolina, però.

«Abbiamo deciso di abbandonare piazza S. Cosimato a chi vuole sottrarcela per fini politici e strumentali», ha  detto il 12 febbraio scorso il leader del gruppo Valerio Carocci, in conferenza stampa.

«Trastevere è stata la miglior culla in cui poter crescere e formarci, ma è oramai tempo di montare un’altra pellicola», scrive Valerio.

Qualcuno dirà che questi ragazzi hanno ceduto, che gliel’hanno data vinta a Virginia Raggi e a company. E invece no.

I fatti sono questi: messi difronte alla scelta di partecipare ad un Bando pubblico per farsi assegnare da Roma Capitale un progetto che in realtà è già loro, oppure rinunciare del tutto all’iniziativa, scelgono una terza via: portarlo altrove promuovendo i quartieri ai margini. Andranno a Tor Sapienza, Valle Aurelia e porto di Ostia.

E così dal 1 giugno al 12 settembre, grazie anche alla collaborazione dell’Ente Roma Natura, il cinema arena sbarcherà in zone dove non c’è mai stato, dando un bel segnale di apertura al mondo, alle periferie (tanto sbandierate dal mondo cattolico che fa eco al Papa) e alla cultura come strumento di resistenza.

Loro li chiamano «nuovi focolai di resistenza culturale» ed in effetti l’idea è quella di continuare ad immaginare una città libera, dove a prevalere siano il senso della comunità e il bene comune.

«Faremo in modo che i nostri ed i vostri sogni brillino anche di notte, tra maratone di horror, saghe e fiction, attenderemo l’alba sperando che in questa città, prima o poi, soffino venti migliori», dicono i ragazzi del cinema America.

Nel concreto verranno allestiti tre maxi schermi da circa 12 metri l’uno, per un totale di 185 proiezioni e 2700 sedute, naturalmente ad ingresso gratuito.

«Decidiamo di diffondere il nostro modello di partecipazione rivendicando ancora una volta che non abbiamo bisogno di padroni, che non abbiamo bandiere, nè tanto meno colore», scrive Carocci.

Ma perché chiamarla “resistenza culturale”? I tre quartieri non sono scelti a caso: le tensioni sociali si prevengono e si arginano facendo cultura dal basso.

«I conflitti violenti come quelli di Tor Sapienza, Tiburtino III e Ostia – dicono i ragazzi – possono essere prevenuti da chi realmente vive quei territori, da chi li ama e quindi li protegge».

Ma perchè Carocci e gli altri ragazzi hanno ‘snobbato’ con tanta sicurezza quel Bando dell’Estate Romana? Non perchè temono di competere con gli altri (che il bando l’avrebbero vinto comunque loro), piuttosto perchè andando a spulciarlo bene contiene un illecito enorme. Una clausola anticostituzionale che di fatto è una censura.

In uno degli allegati al Bando, infatti, la sindaca inserisce un allegato tutt’altro che innocuo: se vuoi prendere parte alla gara non devi criticare chi ti consentirà di vincere.

Testuale: all’allegato 2, pagina 2, punto 7: «Il sottoscritto si impegna, in tutte le fasi della procedura, anche per i propri dipendenti, consulenti, collaboratori, ad evitare comportamenti e dichiarazioni pubbliche che possano nuocere agli interessi ed all’immagine di Roma Capitale, dei dipendenti e degli amministratori».

Una condizione inaccettabile in democrazia, che ci dà la misura di quanto il Movimento 5 Stelle sia antidemocratico, populista e gerarchico.

E di quanto chi invece vuole continuare ad essere libero deve restare alla larga da certa politica deteriore.