Iniziano a far parlare di sè e c’è da giurare che cresceranno ancora, non solo numericamente: le femministe cattoliche, dentro la Chiesa esistono, e il loro Manifesto è in rete già da qualche giorno.
«Assertività, libertà e alleanza femminile» sono le tre parole chiave usate da queste donne – una trentina e tutte a vario titolo impegnate nella realtà ecclesiale italiana – per mettersi a servizio della Chiesa con uno spirito decisamente rinnovato.
Non accettano di essere le “stampelle” degli uomini (siano essi mariti, presbiteri o docenti) e pongono l’accento sull’essere adulte e dunque responsabili appieno del proprio pensiero e della propria azione: assumere ruoli di «responsabilità» e «potere» per loro non è chiedere troppo, anzi, è quasi doveroso. Obiettivo finale e di lungo periodo? Aprire al sacerdozio femminile.
«Pur consapevoli che in alcune realtà ecclesiali la situazione sia in movimento – si legge nel Manifesto – come donne adulte sperimentiamo quotidianamente il ruolo subalterno della donna nella Chiesa, che ci fa sentire sempre più fuori luogo e inadeguate».
Si percepisce dalle loro parole anche forte delusione per come vengono trattate: «Subiamo l’incapacità di essere viste e valorizzate nelle nostre competenze e specificità – scrivono – e questo ci priva troppo spesso di un reale riconoscimento. Vediamo che le donne nella comunità esistono nella misura in cui risolvono i problemi dei protagonisti uomini. Tutti uomini».
Il Manifesto è un appello, ma anche una denuncia di uno status che non soddisfa chi vuole uscire dalla trappola degli stereotipi.
«Siamo credenti, siamo discepole di Gesù – dicono – innamorate della Chiesa, delle nostre famiglie, di chi è più fragile e più indifeso, ma innamorate anche della nostra forza, energia e intelligenza, doni di Dio».
La loro posizione non nasce dal bisogno di opporsi alla Chiesa, quanto piuttosto da una volontà di servirla al meglio, non come collaboratrici o assistenti degli uomini, ma da protagoniste.
Il modello femminile imperante nella Chiesa «è sempre quello di “stampella” a sostegno delle figure maschili (presbiteri, docenti o mariti). Non ci sono spiragli per capacità femminili che vadano al di là della procreazione, dell’accudimento, o del sostegno agli uomini, a meno di pesanti rinunce alla propria femminilità».
Tutto nasce da un articolo pubblicato dalla scrittrice e sociologa Paola Lazzarini Orrù (una delle firmatarie del Manifesto e anima del gruppo) su Gli Stati Generali, che dà il via al dibattito.
«Molte hanno iniziato a scrivermi – racconta lei – e abbiamo creato un gruppo, anche su facebook. Tra noi ci sono donne di varia provenienza, alcune legate ai gesuiti, altre alle parrocchie, alcune al CVX, Comunità di Vita Cristiana. Ci siamo confrontate su un disagio comune: quello di una rappresentazione femminile nella chiesa che è più di servizio che non di pensiero».
Una condizione che genera «non solo uno spreco di talenti – dice Paola Lazzarini – ma quel che è peggio un’infedeltà al modo di procedere di Gesù, che invece dava alle donne un’autorità».
Questa immagine femminile è quindi antievangelica, denunciano.
Sembra quasi che parlare di “autorità” e di potere delle donne suoni «pretenzioso all‘interno della Chiesa, mentre il potere non è altro che la possibilità di fare le cose», spiega Paola.
Lei denuncia una visione della donna sempre un po’ di serie B, che sminuisce persino la qualità della «fede», nonché la «scelta vocazionale femminile».
«Si parla sempre di suorine, quasi a volerne svalutare la capacità», spiega Paola Lazzarini.
Anzitutto le femministe di nuova generazione nella Chiesa vorrebbero intercettare altre donne «che vivano lo stesso disagio» che sentano come impellente il bisogno di uscire fuori da uno schema binario.
Non rinunceranno tanto facilmente, sebbene le si scoraggi in questa direzione, a «portare avanti istanze serie e grandi come anche forme di servizio presbiterale femminile». L’obiettivo di lungo periodo è in effetti quello di ragionare sul sacerdozio femminile e questo sì che aprirebbe la strada ad una vera rivoluzone.