L’Olanda è ormai vittima dichiarata di se stessa. L’enfasi posta per mesi (se non per anni) sulle misure di austerità e sulla necessità dei tagli alla spesa pubblica, (oltre ogni ragionevolezza) l’hanno inevitabilmente catapultata dalla parte dei ‘perdenti’ d’Europa. Portogallo e Spagna in testa.

Il Pil olandese è in calo (si prevede un – 0,5% nel 2013), il tasso di disoccupazione vola (8,7% a luglio) e la bolla immobiliare scoppia. I dati statistici sulla patria dei mulini a vento sono preoccupanti, tanto quanto le dichiarazioni di chi da mesi avverte i leader del governo de l’Aja che qualcosa non sta più funzionando nel meccanismo dei conti pubblici, e che l’austerity produce effetti devastanti, trasformando la virtù in danno.

Sostanzialmente, dicono gli scettici (il ‘Financial Times’ dedica pagine ai danni delle politiche olandesi troppo ‘bacchettone’ e Reuters rincara la dose), quello che sta accadendo in Olanda è che i consumi si sono fermati, l’economia rallenta, la crescita ristagna. Tutto perchè si è intervenuti pesantemente sul nominatore, del deficit, con tagli alla spesa pubblica che hanno soffocato i bisogni della gente.

Un esempio? Il sito di ‘De Telegraaf’ racconta che nel corso del 2012 hanno dichiarato bancarotta 49 asili nido e centri di assistenza all’infanzia, mentre quest’anno a chiudere i battenti sono già 85 centri, notoriamente un fiore all’occhiello dell’Olanda del welfare state. Succede che le famiglie non possono più permetterselo.

«Da una parte si sono verificati tagli di finanziamenti alle strutture di assistenza all’infanzia, dall’altra molti genitori hanno perso il lavoro. Le famiglie possono permettersi di pagare le strutture per i primi tre mesi soltanto», spiega un portavoce dell’associazione Brancheorganisatie.

Non solo. Anche il famoso quartiere a luci rosse di Amsterdam risente della crisi. «Le prostitute non sono più in grado di pagarsi l’affitto», dice l’associazione di categoria Geisha e le case chiudono. Il distretto langue. L’economia non gira, il turismo vola altrove.

Luci rosse a parte, in generale la disoccupazione cresce: per un Paese disabituato completamente alla perdita del posto di lavoro o all’attesa di anni negli uffici di collocamento, questa crisi è devastante. Il tasso di disoccupazione è balzato all’8,7% a luglio scorso, dal 7,5% di gennaio: poca cosa rispetto ai numeri del Portogallo e della Grecia, si dirà, ma comunque un record da bandiera rossa in Olanda. Possibile che l’austerity provochi danni così tangibili alla vita delle persone e se sì perchè il governo olandese non l’ha capito prima? Una domanda che Coen Teulings, capo del Central Planning Bureau dell’Olanda, si è posto talmente tante volte, mentre cercava di mettere in guardia il suo governo contro le nefaste conseguenze dei tagli, da non avere trovato altra risposta che questa: si tratta, argomenta l’economista, di una ‘dissonanza cognitiva’. Ossia, dice Teulings, che è a capo dell’agenzia governativa sulle previsioni economiche, di una rigidità mentale. Insistere con i tagli al deficit (che si attesterà al 3,9% del Pil quest’anno, mentre la soglia fissata dall’Ue è del 3%) nella misura di un 8% del Pil in sette anni, mina nel profondo la fiducia dei consumatori.

I cittadini non consumano più perché non hanno le risorse. E non sono abituati ad un Paese che ridimensiona le loro capacità di spesa, tagliando i servizi pubblici che di norma spettano ai contribuenti. Una delle patrie storiche del welfare state nord-europeo si ritrova così con uno stato sociale che non mantiene più le promesse. Le contrazioni sono in effetti guidate da consumatori e aziende che cercano di indebitarsi meno o che ridimensionano la domanda, lasciando il governo da solo a spendere. E quindi costringendolo a spendere di meno. Insomma, la spirale recessiva si avvita.

Tagliare sul welfare, dicono gli economisti pentiti e non, fa male all’economia reale. Sebbene forse, faccia del bene ai mercati e all’alta finanza che viene rassicurata dai tagli e dal minor peso sulle banche. In Olanda per di più il dogma austerity piace non solo a chi governa, ma anche alle opposizioni: liberali e socialisti (ex) si ritrovano sulla stessa linea.

«Non è solo il Governo in carica», spiega Bas Jacobs, docente dell’Erasmus University intervistato dal Financial Times «ad avere abbracciato la filosofia dell’austerità, ma tutto lo spettro dei partiti politici dal centro-sinistra del Labour ai Liberali di centro-destra», ha deciso che essere tra i virtuosi d’Europa conveniva alla piccola Olanda. E che bisognava essere tra i fautori del rigore. Un rigore finora preteso con caparbietà nei confronti dei Paesi mediterranei con l’acqua alla gola, come avrebbe potuto fare un insegnante nei confronti di scolaretti svogliati.

Naturalmente anche la Banca Centrale Olandese ha sostenuto l’austerità: d’altra parte il ministro delle finanze Jeroen Dijsselbloem, che ora si trova decisamente nei guai, ha dovuto portare avanti questo punto di vista (il suo Labour era accusato d’aver tassato troppo il Paese e di aver fatto crescere il deficit negli anni ’70). Tanto più che è stato di recente presidente dell’Eurogruppo e dunque, costretto a dar man forte all’Europa modello Merkel. Il guaio è che l’Olanda ha perso la bussola: in questi ultimi due anni sembra aver superato il maestro. E’ diventata più austera della Germania della Cdu che per sua fortuna ha mantenuto il doppio standard: rigida e intransigente con l’Europa e con i più indebitati, si è mostrata decisamente più morbida con i suoi, impegnata a difendere i diritti acquisiti dai cittadini tedeschi. Che ne sarà degli olandesi catapultati in una crisi inaspettata, alle prese con il crack del mercato immobiliare (i prezzi crollano) e con la chiusura delle aziende che vanno in bancarotta? Si chiedono in molti. Una situazione, aimè, provocata da un irrigidimento che non ha consentito ai vertici del Paese di guardare alla realtà con una visione globale a 360 gradi. Il benessere delle persone è diventato improvvisamente meno importante della performance macroeconomica.