Dopo la condanna a 12 anni per corruzione, Ignacio Lula da Silva esce platealmente di scena, ma il suo carisma non si spegne.

La rabbia della gente è ancora palpabile in Brasile, e i militanti del Partito dei Lavoratori continuano a scendere in strada dandosi il cambio al presidio permanente di Curitiba. «No, non andremo via di qui finchè non uscirà. Tutti i giorni gli gridiamo: Buon  giorno presidente Lula!», scrive il quotidiano La Capital dando voce ai fedelissimi dell’ex sindacalista.

La forza simbolica di quest’uomo non è acqua fresca e l’indignazione per l’oltraggio alimenta il bacino del Partito e dei suoi potenziali elettori, in attesa che il Paese vada alle urne il prossimo ottobre.

Ma Lula ha pensato ad un successore o intende rimanere al timone anche dietro le sbarre? E soprattutto esiste un piano B nel caso in cui non potesse ricandidarsi?

La stampa locale e quella portoghese parlano con insistenza di Guilherme Boulos: prima d’essere arrestato il leader 72enne ha fatto in tempo ad indicarlo come suo delfino.

Scrive El pais- Brasile: «Poche ore dopo l’ingresso dell’ex presidente nella sede del Sindacato metalmeccanico di ABC in San Bernardo do Campo, venerdì scorso, Guilherme Boulos è uscito fuori, facendosi largo tra i cronisti» per arrivare in strada e guidare una marcia di rappresentanti del Movimento di Lavoratori “Sem teto” (MTST), in vista di una prossima occupazione.

Sembrerebbe lui il prossimo leader, nel caso in cui la candidatura di Lula dovesse venire affossata definitivamente. Ma non è ancora detta l’ultima parola.

Nel frattempo Boulos non sta a guardare e vola in Portogallo per dar testimonianza dell’esistenza.del complotto dietro la prigione inflitta a Lula.

Ma per quanto piaccia disegnarlo come un Paese indignato e stravolto, il Brasile non è tutto con Lula: esiste quell’altra metà del mondo che in questi mesi fa festa.

Lo racconta il Financial Times, raccogliendo voci di chi non sta nella pelle: «Non avrei mai pensato di poter rispettare ed amare la polizia federale – dice al giornale il proprietario del Beagle Boys di San Paolo.

E come lui sono centinaia di migliaia i rappresentanti della piccola, media e alta borghesia brasiliana che non hanno mai amato né Lula né Dilma.

Essere contro l’ex Presidente però non significa automaticamente star dalla parte dei grandi partiti di destra conservatori: alcuni analisti notano che una grossa fetta di elettori brasiliani si schiererà comunque contro l’establishment:

«L’ingrediente principale – scrive il Financial Times Brasil – delle prossime elezioni sarà la rabbia della gente contro il sistema». Largo ai partiti populisti dunque?

«Sebbene la rimozione di Lula comporti uno spostamento a destra, specialmente sulle questioni sociali, la sicurezza e la religione – aggiunge il FT – questo non significa automaticamente un vantaggio per i partiti tradizionalisti».
Ma quanto è stato mitizzato Lula in questi anni?

Qualcuno inizia a chiederselo. In un pezzo dal titolo “Lula, o humano, la versione brasiliana di El Pais mette in dubbio la dimensione simbolica di un mito e poi però scrive anche: «Abbiamo perso molto il 7 aprile 2018. Il modo in cui il processo è stato condotto, più rapidamente della maggior parte dei processi in corso, ha instillato dubbi sulla giustizia stessa».

Non convince anzitutto la “rapidità” con cui il Pubblico ministero Sergio Moro ha decretato il carcere per Lula.

I brasiliani stanno perdendo fiducia nel potere giudiziario: questo è un altro dei dati più evidenti.

C’è poi forte preoccupazione per la piega militarista che il Paese verde oro già da qualche tempo ha preso: alcuni deputati brasiliani lanciano l’allarme e gli fanno eco i missionari italiani in Brasile.

«Quello contro Lula è un complotto – ha detto padre Gianfranco Graziola, della Consolata al mensile Popoli e Missione, subito dopo la notizia dell’arresto – Anzi direi di più: si tratta di un attacco alla democrazia. Il secondo atto di un colpo di Stato iniziato con l’illegale destituzione di Dilma Rousseff».

E ancora, con le parole di un altro missionario fidei donum: «In questo momento il Brasile è un Paese spaccato a metà: dalla parte di Lula c’è la maggior parte della gente però – dice Sandro Gallazzi, missionario laico da 45 anni in Brasile – La sensazione generale è che ci sia una lotta tra due poli e che l’arresto di Lula sia arrivato per impedirgli di essere rieletto».

Ma soprattutto, un dubbio serpeggia neanche troppo velatamente: il Brasile rischia davvero  una pericolosa sterzata militarista e addirittura un colpo di Stato militare?

Il quotidiano Estadao riporta le reazioni dei deputati europei che mettono in guardia da un’ulteriore militarizzazione nel Paese e dicono di Lula: «E’ stato un presidente molto positivo per il Brasile. I suoi programmi sociali hanno fatto del bene a decine di migliaia di persone ed è per questo che rimane tanto popolare tra i brasiliani».

E ancora, gli eurodeputati socialisti: «Lula ha lottato contro la fame, la povertà e la discriminazione e per la riduzione delle disuguaglianze sociali»: un uomo così non si dimentica facilmente, in un senso o nell’altro.

Certamente gli ultimi anni del Brasile non fanno ben sperare sulla virata autoritaria: la condanna e l’arresto sempre più frequente dei difensori dei diritti umani, la repressione poliziesca del dissenso e il pugno di ferro a tolleranza zero per il ‘crimine’ (nelle favelas povere) somiglia troppo ai sistemi mutuati dalle dittature militari e spaventano moltissimo gli analisti.

A preoccuparsi è quella parte di Brasile da sempre schierata con la gente, con le lotte sociali, con la riforma agraria e con i sem terra.

foto da Elbalad http://en.elbalad.news/2342282